La ricostruzione

Massimo Giletti, Filippo Facci: le relazioni pericolose tra i media e le cosche

Filippo Facci

È come un puzzle che non si riesce a mettere assieme ma che, in realtà, non si sa neppure se possa riuscire: c’è la decisione di Urbano Cairo (La7) di sospendere il programma Non è l’Arena con ampio anticipo sul previsto, poi c’è la notizia di forze dell’ordine a casa di Massimo Giletti (ufficialmente smentita da Giletti, ma che altre fonti affidabili hanno confermato a Libero) e c’è la certezza che lo stesso Massimo Giletti è stato ascoltato a Firenze dalla stessa Dia a proposito delle sue plurime interviste a Salvatore Baiardo, favoreggiatore della famiglia mafiosa dei Graviano il quale, da anni, rilascia mezze dichiarazioni nelle più svariate sedi in cambio possibilmente di soldi.

Parentesi: Giletti ieri ha anche smentito di aver pagato 30mila euro a Baiardo per le sue prestazioni televisive, e se ne prende atto, anche se Baiardo ha sempre chiesto soldi a tutti (persino ai Carabinieri, come mise a verbale il colonnello Andrea Brancadoro) e anche se a Palermo – non a Omegna, città di Baiardo – le notizie costano care, com’è noto nell’ambiente antimafia. 

 

È un bene che Giletti abbia fatto questa smentita, perché i 30mila euro in ogni caso non li avrebbe certo tirati fuori di tasca propria: Giletti risponde a una produzione, e la produzione risponde a Urbano Cairo. Altra parentesi: stiamo lasciando da parte tutti i presunti retroscena sul possibile ritorno di Giletti in Rai, una cantilena che un qualche ruolo potrebbe anche averlo, perché la cosa potrebbe anche aver estenuato Urbano Cairo e quindi aver avuto un peso nella sua decisione di lasciare a casa Giletti. Ma non sappiamo neanche questo.

Ultimo penoso aggiornamento: ieri Baiardo ha pubblicato un video di dieci minuti sul social TikTok tredici ore prima che La7 sospendesse la trasmissione che lo ha reso famoso: un intervento delirante in cui parla di un suo futuro in Mediaset e di un suo fantomatico libro di prossima uscita. E, tanto per complicare questo gioco di relazioni pericolose: «Anche Giletti, sotto scorta, alla fine della fiera non so che gioco faccia anche lui».

ILLAZIONI
Sappiamo per certo, riprendendo il filo, che certo giornalismo di Giletti ha rotto le scatole più all’Antimafia che alla mafia, o quel poco che rimane. Perché, nei fatti, le illazioni di questo Baiardo hanno ottenuto più spazio e popolarità mediatica dei servitori dello Stato che si sono rotti la schiena per catturare Matteo Messina Denaro, lasciando velenosamente circolare la tesi che il capo mafioso potesse essersi accordato con lo Stato per consegnarsi. Non sono mancate altre anticipazioni o piccoli scoop sul caso Messina Denaro, e questo può aver innervosito ulteriormente l’Antimafia, la Dia: che è abituata a un giornalismo dichiaratamente amico (financo servile) oppure palesemente antipatizzante: ma non alla Tv, coi suoi mezzi, non alla talvolta sgangherata macchina da guerra che la trasmissione di Giletti aveva messo in piedi in tema di mafia.

 

Non stiamo parlando delle trasmissioni che si occupano di casi di cronaca nera sovrapponendosi alle indagini degli inquirenti per puntate intere: stiamo parlando di incursioni in terre di nessuno dove ogni fonte può rappresentare un depistaggio o un favoreggiamento, dove è un attimo partire da giornalisti (col sacrosanto «diritto di informare») per ritrovarsi involontari strumenti di messaggi oscuri, di fughe di notizie, o maldestri calpestatori di trame faticosamente ordite dagli inquirenti. Con il che, sul caso Giletti, beninteso, abbiamo detto tutto e niente.

AZZARDO
Sappiamo solo che il casino messo in piedi dal conduttore, dall’autunno scorso, è stato troppo smaccato perché un giornalista navigato come lui non potesse prevederne le conseguenze. Ha dato la parola a un favoreggiatore di boss stragisti (i Graviano) che era stato giudicato inattendibile da molteplici fonti giudiziarie e giornalistiche, contribuendo così a riavvelenare e raffrescare pozzi da tempo prosciugati; e non ha dato la parola a un pentito, precisiamo, ma a uno che in precedenza aveva detto talmente tante sciocchezze da non riuscire neppure a ottenere lo status di collaboratore di giustizia. Nei fatti, la «profezia» di Baiardo sull’arresto di Matteo Messina Denaro ha solo riacceso i fulgori di quell’Antimafia dietrologica che negli anni precedenti era rimasta a guardare e che si era limitata imbastire processi di archeologia giudiziaria sfociati nel nulla. Salvatore Baiardo, dapprima elevato a oracolo a Non è l’Arena, era già stato dichiarato inattendibile dal procuratore Giuseppe Nicolosi di Firenze e aveva cercato di smentire per iscritto che Giuseppe Graviano avesse premuto il bottone del telecomando che ammazzò Paolo Borsellino e la scorta in via D’Amelio. 

Sull’inaffidabità di Baiardo si era espressi anche il colonnello dei Carabinieri Andrea Brancadoro e il dirigente di Polizia Francesco Messina: Baiardo tirò in ballo più volte i Berlusconi, ma le sue dichiarazioni non finirono in nessun’inchiesta perché non le confermò neppure quando Gian Carlo Caselli venne apposta da Palermo alla Dia di Milano per sentirlo. Tutte le ricostruzioni che abbiamo messo in fila, e i retroscena che abbiamo evocato, hanno una loro ragion d’essere: ma per cultura, se dovessimo scommettere, giureremmo che nella rottura tra Cairo e Giletti il ruolo prevalente possano averli avuti i contatti del conduttore con la tv pubblica. Cairo, estenuato da una trasmissione oltretutto piuttosto costosa – per i suoi gusti – forse ha solo deciso di anticipare i tempi. Male che vada, Giletti racconterà che l’hanno cacciato per il suo giornalismo antimafia.