Arruolato
Otto e Mezzo, Lilian Thuram insulta governo e italiani. E Lilli Gruber
A sinistra (o meglio sopra, sugli attici radical-drink, ché “sinistra” è pur sempre una categoria politica, quindi troppo seria per quel che segue) imperversa un nuovo pensatore di riferimento. Si tratta di un intellettuale poliedrico, fa l’editorialista per Repubblica, lo scrittore (diciamo lo scrivente, per il residuo rispetto nei confronti delle spoglie di Marcel Proust), il commentatore televisivo. Là dove Aboubakar Soumahoro era ancora visibilmente scomposto e palesemente incontrollabile, lui è fine e felpato come quando usciva palla al piede dalla sua area.
Lui è Lilian Thuram, francese di origini guadalupensi baciato dal talento calcistico, a cui il barbaro Occidente e la xenofoba Italia hanno assicurato una carriera sfolgorante, e relativi contratti non da metalmeccanico, con le maglie di Monaco, Parma, Juventus, Barcellona. Da quando ha smesso, Lilian si è inventato una nuova professione: sparare sul medesimo Occidente e sulla medesima Italia Entità millenarie, la cui storia nella sua approfondita analisi si risolve in una parola: razzismo.
GEOGRAFIA DA RIFARE
L’ha teorizzato in un libro (diciamo in un volume, sempre per non generare autocombustione nello scaffale della Recherche) dal titolo che è un capolavoro di razzismo al contrario: “Il pensiero bianco”. Lilian l’ha spiegato così in una conversazione-fiume con Ezio Mauro su Rep., di quelle che una volta avrebbe fatto un Umberto Eco: «Ha generato una visione del mondo a suo uso e consumo, deformando le proporzioni dei Paesi e dei continenti sulle carte geografiche, naturalmente con l’Europa in posizione privilegiata e centrale». Ora l’Europa, oltre a essere il luogo in cui Lilian ha fatto fortuna, è anche quel continente da cui sono scaturiti marchingegni secondari come la filosofia, il diritto, l’unica religione fondata sulla nozione rivoluzionaria di dignità della persona, il liberalismo come civiltà dei diritti individuali, la democrazia come regime politico.
Prendiamo atto che per Lilian e certi suoi seguaci minori, tipo Mauro, dovrebbe ricoprire una posizione defilata nella storia umana. Ma quel che è divertente, è che Lilian e Mauro l’altra sera erano intenti a presentare la fondamentale opera del primo in collegamento con Lilli Gruber a “Otto e mezzo”. Unico, mal tollerato ma combattivo contraddittorio: Francesco Specchia di Libero.
A GAMBA TESA
Parte in quarta Thuram, come quando chiudeva la diagonale: «Quando si parla di razzismo, bisogna specificare il punto di vista da cui si sta parlando. Io sono una persona nera» (quindi gli argomenti valgono a seconda della pigmentazione di chili esprime, interessante tesi antirazzista). «Dal mio punto di vista, sicuramente l’Italia è molto più razzista di prima perché c’è questo governo». E qui Specchia deve rinunciare alla sua abituale urbanità: «Lei ha detto che in Italia ci sono razzisti al governo. Mi può fare esempi circostanziati di nomi? C’è qualche atto che l’ha particolarmente colpita, tipo una roba alla Ku Klux Klan?». E Lilian inizia a calciarla affannosamente in tribuna: «Se lei parla di Ku Klux Klan, dimostra di non conoscere la storia del razzismo, perché il razzismo comincia col pensiero». «Era una battuta», replica Specchia sconsolato di dover insultare il telespettatore.
«Non si fanno battute sul razzismo, capisce!», sbrocca Lilian, per poi sfornare un doppio passo logico incomprensibile: «Malo sa che in Francia hanno fatto venire persone dall’Africa e dall’Asia per fare lavorare? È successo durante la colonizzazione francese!». «Quindi noi stiamo importando schiavi?», chiede il collega sbigottito dall’analogia storica ubriaca, e l’altro, il democratico, il tollerante, l’intellettuale, alza ulteriormente il tono: «Oh mio Dio! Stiamo scherzando? Ma chi è questo signore?». La colpa, comunque, a pensarci è tua, caro Francesco. Sei un retrivo maschio bianco, e non hai avuto nemmeno la decenza di scusarti.