Cortocircuito

Luca Ricolfi su "Repubblica" smonta "Repubblica": "Cosa dovremmo chiederci"

"Netto successo della destra, tenuta della Lega, sconfitta della sinistra, evanescenza del Terzo polo". Mai un risultato elettorale è stato più chiaro, scrive Luca Ricolfi in un editoriale pubblicato su La Repubblica in cui attacca la sinistra e smonta alcuni cavalli di battaglia come il salario minimo e la lotta per i diritti civili. "Ma altrettanto raramente il risultato elettorale è stato così fragile: con una partecipazione del 40%, in due Regioni che includono Roma e Milano, il dato sociologico dominante diventa il non-voto".

Nella sua analisi il sociologo spiega che dagli anni '50 a oggi, "è progressivamente sparita la convinzione, profondamente radicata almeno fino agli anni ’70, che il progresso sociale e individuale ha costi elevati. La generazione dei miei genitori considerava ovvio che le aspirazioni di ascesa sociale richiedessero duro lavoro, risparmi, sacrifici, differimento della gratificazione", che "il progresso sociale, fatto di migliori condizioni di vita per gli oppressi e conquiste di libertà per tutti, richiedesse la fatica della lotta politica e sindacale, la mobilitazione dei movimenti collettivi, e naturalmente la partecipazione al voto". 

 

 

Invece adesso "è subentrata l’idea di essere titolari di diritti, che è compito di altri, Stato e istituzioni innanzitutto, rendere esigibili. Questa inclinazione alla delega si manifesta un po’ in tutti gli ambiti. Ai problemi dello sfruttamento — nelle fabbriche come nei campi, negli uffici come nelle consegne a domicilio — non si pensa di rimediare estendendo il raggio dell’azione sindacale, ma imponendo per legge un salario minimo".  Stessa cosa per i diritti civili: "Dopo i gloriosi anni dei referendum e dell’impegno", prosegue Ricolfi, "subentra l’idea che i nuovi diritti siano, appunto, solo diritti, che tocca alle istituzioni rendere attuali, piuttosto che il risultato di movimenti collettivi, che attraverso l’impegno pubblico affermano nuovi valori, e poco per volta li fanno entrare nel senso comune".  

 

 

Quindi, conclude il sociologo, "sarebbe riduttivo leggere il crollo della partecipazione elettorale come un mero fallimento della politica, con conseguenti immancabili lezioncine a una classe politica ormai incapace di scaldare i cuori. Che la maggior parte dei politici non ci piacciano è sicuramente vero. Ma forse dovremmo chiederci prima di tutto se ci piacciamo noi, con la nostra ingenua credenza che il successo sia un pasto gratis".