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Crisanti, rivincita di Zaia: in Aula il documento che smonta il suo studio
Lo studio e i dati su cui «si è poggiato l’esposto di Crisanti non può pertanto in alcun modo essere assunto né come dato scientifico né come opinione di esperto. Trattasi in realtà di informazione inattendibile e non scientifica». Dall’inchiesta della Procura di Padova sui cosiddetti tamponi rapidi, sperimentati tra la prima e la seconda ondata di Covid, salta fuori la “profonda stima scientifica” che il presidente dell’Agenzia italiana del Farmaco, Giorgio Palù, ha di Andrea Crisanti. Oggi Crisanti è senatore in quota del Pd ma all’epoca (2020) era ordinario di microbiologia all’università di Padova e superconsulente della Regione Veneto nella fase iniziale della pandemia da Covid.
Giovedì scorso il giudice per le udienze preliminari, Maria Luisa Materia, ha rinviato a giudizio Roberto Rigoli, ex primario dell’ospedale di Treviso, e Patrizia Simionato, all’epoca dei fatti contestati dg di Azienda Zero e ora dg dell’Ulss 5. I due dirigenti finiranno così a processo per «falsità ideologica in atti pubblici commessa da pubblico ufficiale e turbativa nel procedimento di scelta del contraente». Rigoli è anche accusato di depistaggio. A dirla tutta la vicenda giudiziaria non sarà così rapida. Infatti la data della prima udienza è stata fissata per il 22 febbraio 2024. Ovvero a 4 anni dall’inizio dell’ondata epidemica. L’avvocato che difende l’ex capo di Azienda Zero, Simionato, Alessandro Moscatelli, ha allegato alle carte processuali una consulenza firmata proprio da Palù. Venti pagine in cui il virologo non solo difende l’operato dei due imputati ma definisce senza vie di mezzo le traballanti basi scientifiche dell’esposto di Crisanti.
IL RAPPORTO
E proprio sull’accusa rivolta ad Azienda Zero di non aver testato l’efficacia dei tamponi prima di acquistarli, Palù scandisce che i test antigenici Abbott erano «autorizzati dall’Fda (ovvero la Food and Drug Administration, l’ente di controllo americano, ndr), e validati dall’Ehrlich Institut di Francoforte, e ritenuti idonei per effettuare la diagnosi di Covid 19». Il numero uno dell’Aifa spiega che «non si vede perché un laboratorio pubblico debba condurre una sperimentazione per verificare quello che è già certificato dagli enti regolatori». E quindi l’azienda regionale veneta «non poteva fare altro che valutare la qualità del confezionamento, la facilità di somministrazione del test, l’integrità dei tamponi». In sostanza «eseguire un’indagine scientifica sarebbe stato uno sperpero di denaro pubblico». Parlando poi nel dettaglio dello studio di Crisanti, stando al quale «i test avevano un tasso di fallibilità troppo elevato», Palù non è certo tenero: «Non si tratta di scienza stiamo parlando di dati da essere ancora confermati, informazioni quindi che non dovrebbero nemmeno essere utilizzate per guidare scelte di pratica clinica».
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Come dire: la tesi di Crisanti «si configura come un esercizio scontato da essa si vuole far scaturire un dato forzato, per di più basato su una costruzione sperimentale equivoca». L’esperto virologo, Palù, spiega che i dati su cui è basato «l’esposto di Crisanti non può pertanto in alcun modo essere assunto né come dato scientifico né come opinione di esperto. Trattasi in realtà di informazione inattendibile e non scientifica». E lo “zanzarologo” Crisanti? I rapporti tra l’esponente Pd e il presidente dell’Aifa non sono mai stati buoni. Tanto per capirci l”appellativo “zanzarologo” gli è stata affibbiata proprio da Palù. La notizia che i due indagati per il caso-tamponi finiranno a processo rappresenta - per il momento- una sostanziale vittori di Crisanti. Una rivincita sulle intercettazioni nelle quali il governatore Luca Zaia gli dava addosso. «È la dimostrazione che feci bene a fare l’esposto», ribatte asciutto il microbiologo e senatore del Pd. La sua posizione non cambia: «I test rapidi avevano una fallibilità troppo elevata e il loro massiccio impiego su Rsa e personale sanitario, in quella fase della pandemia, fu un grave errore perché favorì la diffusione del virus. Zaia dice che quei test furono delle scialuppe di salvataggio, ma si sbaglia: per limitare i contagi avrebbe invece dovuto erigere delle barriere».
DANNO ERARIALE
Sta di fatto che Azienda Zero all’epoca aveva proceduto al l’acquisto diretto (senza bando) di 200mila test Abott, per un costo di 900mila euro, e di una seconda tranche- il 14 settembre 2020 - di altri 280mila, per 1,26 milioni di euro. «È una vicenda complessa», taglia corto l’avvocato Giuseppe Pavan, che difende Rigoli, ci aspettavamo questa decisione». Salvo puntualizzare che ora «il rinvio a giudizio permetterà di portare nel processo altri elementi relativi alle scelte fatte in un momento di pericolo e incertezza per il Paese. Le decisioni, compresa quella relativa ai tamponi rapidi, sono state prese con l’unico interesse di tutelare la salute pubblica e nel rispetto delle norme». Sulla stessa lunghezza d’onda anche il difensore di per Simionato, l’ex capo di Azienda Zero: «Affronteremo il processo con serenità», garantisce l’avvocato Alessandro Moscatelli, anche se «sono convinto che già oggi c’erano tutti gli elementi per proscioglierla dalla accuse. Ma tant’è. Spiace che Simionato debba sopportare la pena di un processo che la porterà all’assoluzione, visto che si è comportata in modo cristallino ed esemplare». Bisognerà attendere un anno per leggere il prossimo capitolo (giudiziario) della vicenda.