Lo scrittore
Dino Buzzati e "l'ossessione per Diabolik": ciò che pochissimi sapevano
La fotografia, in un formidabile seppiato d'antan dall'album di famiglia, è la rappresentazione plastica di un'ossessione. C'è Dino Buzzati all'apice della carriera il quale, in maglietta alla Picasso, si staglia dal tavolo da disegno del suo studio, mentre sull'affollata libreria appare il manifesto del primo numero di Diabolik, anno 1962. Diabolik, mica Proust. Buzzati e Diabolik. Buzzati era intrippato per IL noir e per il fumetto striato di giallo: e scriveva i suoi stessi articoli di cronaca nera sul Corriere d'informazione attingendo e citando apertamente le caligini di Diabolik - ma pure di Satanik e Kriminal -. E proprio sul Corriere d'informazione, lo scrittore, dal segno grafico potente, aveva prodotto una serie di tavole dedicate ai Misteri di Milano (1966), vicende della nera cittadina rielaborate visivamente in un "protofumetto" che indubbiamente aveva subito l'influenza del grande successo del "fumetto nero" degli anni '60. Il mensile Linus in edicola, in un amplio dossier pubblicato in occasione del 60° compleanno del Re del terrore, getta nuova luce sulla passione che Buzzati, primo fra i grandi letterati italiani (dopo vennero Eco, Vittorini e Del Buono) disvelò per il criminale in calzamaglia.
Leggi anche: Quell'ossessione creativa di Buzzati per Diabolik
LA GRATITUDINE
E lo fa pubblicando un articolo della moglie di Buzzati, Almerina la quale scriverà poi la prefazione al Libro Rosso di Diabolik, nel 1974. Nel pezzo, Almerina rievoca non solo l'interesse per il gotico e la atmosfere fosche alla Hofmann o alla E.A.Poe del marito, ma pure - evocando l'intervista che Buzzati concesse a Yves Panefieu nel '73 - racconta il particolare rapporto con Diabolik che gli fungeva da ansiolitico nelle faticose sedute di recensione di libri tutt' altro che ammalianti. «C'era una specie di gratitudine per l'eroe di tante vicende che ci avevano aiutato a vincere la noia», scrive Almerina «e qui potrei fare un lungo elenco di casi che si ripetevano fin troppo spesso: Dino alle prese con qualche novità, prima incuriosito, poi attento poi, via via che andava avanti a leggere sempre meno persuaso finché metteva via il libro di solito intorno alla pagina 40 e il traguardo massimo della sopportazione e la frontiera invalicabile della noia e mi chiedeva l'antidoto sicuro sempre a portata di mano: dai passami Diabolik! Diabolik, insomma, era la sosta del fastidio. Adesso mi chiedo perché si trattasse proprio di Diabolik; forse perché il vero mistero di questo personaggio sta nel riuscire simpatico oppure appartenendo al mondo del male e senza con questo destarci il sospetto ed avere anche noi nel profondo oscure tendenze criminose».
Diabolik permeava la quotidianità di Buzzati. Perfino il fedele cagnone di famiglia si chiamava "Diabolik". Ora, l'interesse dell'autore del Deserto dei tartari - che era anche cronista, pittore e illustratore - per i comics in generale è cosa nota. Non per nulla il Poema a fumetti del '68, fu una sorta di Ulisse joyciano nel crepuscolo della sua coscienza. E non per nulla nel romanzo Un amore (avviato nel 1959, pubblicato nel 1963), Buzzati inserisce un chiaro riferimento ai fumetti Disney, da lui amatissimi. Per non dire del rapporto dello stesso Dino con Sergio Bonelli, editore di Tex e Dylan Dog (che sarà ispirato da molto buzzatismo). Bonelli possedeva un quadro a fumetti di Buzzati, Il delitto di Via Calumi, che fu regalato allo stesso Sergio da sua madre, e lasciato poi in eredità a Tiziano Sclavi autore dello stesso indagatore dell'incubo. Fu, quello, un gesto simbolico significativo per la contaminazione tra cultura alta e bassa; roba che sarebbe culminata, negli anni a venire, proprio nei mondi di Linus (e il cerchio si chiude nell'attuale special diaboliko voluto da Igor e Elisabetta Sgarbi, i direttori della rivista di fumetti).
Ecco, Buzzati era molto attratto dal fumetto. Ma, nei confronti dell'antieroe nero c'era qualcosa di più. Buzzati aveva una sorta di «simpatia e gratitudine» nel «constatare che ormai Diabolik è una presenza tra noi. Con la sua calzamaglia e le sue astuzie, i suoi guizzi, è un fantasma tutto compreso benigno un provocatore dell'immaginazione», scrive ancora Almerina. Ma non si trattava soltanto di affezione per il personaggio in sé. Buzzati covava una sincera ammirazione anche e soprattutto per le creatrici di Diabolik, Angela e Luciana Giussani.
Leggi anche: Filippo Roma e il libro Boomerang: "Avrebbe tanto voluto consegnarne una copia alla fidanzata di Conte"
DONNE CATERPILLAR
Erano due sorelle caterpillar, libertarie, sostenitrici dei diritti civili, oltre il femminismo. Angela, soprattutto, si rivelò donna indipendente, col pallino del tennis, con la patente e il brevetto di volo (inusualissimo per il tempo), dopo aver fatto la modella in diverse campagne pubblicitarie per il marito, l'editore Gino Sansoni. Luciana invece lavorava come insegnante. E poi venne assunta come impiegata presso un'azienda di elettrodomestici dove vendeva aspirapolveri Folletto: era piena di brevetti sportivi e di colpi d'estro che le permisero, in seguito, di affiancare la sorella nell'ideazione dei soggetti e delle sceneggiature. Sempre Angela,dopo aver appreso i «segreti del mestiere» dell'editoria accanto al marito, all'inizio degli anni Sessanta fondò una sua casa editrice, chiamandola Astorina, come a certificare l'origine comune con la Astoria del marito. «E, tra l'altro, era diventata talmente ricca che, quando divorziò, divenne la prima donna in Italia a pagare gli alimenti al coniuge», ricorda Mario Gomboli, già ragazzo di bottega poi scrittore principe di Diabolik e attuale editore della stessa Astorina, erede della grande tradizione del delitto.
Le sorelle Giussani erano, di fatto, la personificazione di Eva Kant unita alla classe di Altea duchessa di Vallenberg, l'eterna fidanzata dell'Ispettore Ginko. Avevano rubato, le Giussani, le atmosfere di Diabolik a quelle di Fantomas e di Rocambole e dei grandi feuilleton ottocenteschi; e, osservando i pendolari che scendevano dalla stazione di Milano Cadorna ebbero l'intuizione di un fumetto da leggersi nel tempo ristretto del viaggio in treno, e da infilarsi poi nella tasca del paletot, al riparo di sguardi indiscreti. Tutto questo aveva affascinato Buzzati che rese, in controluce, Diabolik parte del suo lascito culturale...