Doge a sorpresa

Luca Zaia, "la mia casa con la muffa e i muri rotti"

Pubblichiamo un estratto del libro «I pessimisti non fanno fortuna» del governatore del Veneto Luca Zaia (Marslio).

Durante gli anni dell'università, a Udine, dividevo la casa con altri tre studenti. La parola «casa» è un eufemismo perché non credo di aver mai visto una sistemazione più precaria di quella, nemmeno quando passavo le notti sulle sdraio in spiaggia durante i primi viaggi da ragazzo, senza un soldo in tasca, alla scoperta del mondo. Era un appartamento nel capoluogo friulano, collocato in un edificio dall'aspetto estremamente trascurato. Se l'esterno non era certo invitante, l'interno rischiava di esserlo ancora meno, con la muffa che affiorava da tutte le parti e i muri sbrecciati: un alloggio di due stanze, bagno e cucina.(...) In quell'abitazione fatiscente ma che si adattava alla perfezione alle nostre necessità, avevamo trovato un televisore, anche quello, a dir poco, sgangherato. Non potevamo nemmeno lontanamente immaginare che un giorno sarebbe arrivato internet né che si sarebbe diffuso fino a diventare alla portata di chiunque. Il nostro «ponte» con il mondo esterno era quella tv, da cui seguivamo i notiziari e ci concedevamo qualche programma la sera. (...)

 

 

 

DESERT STORM

È da quello schermo obsoleto, infatti, che ho visto per la prima volta scoppiare una guerra «in diretta». Era il gennaio del 1991. All'inizio di agosto dell'anno precedente l'Iraq di Saddam Hussein aveva invaso il Kuwait, suscitando reazioni diplomatiche in tutto il mondo. La situazione internazionale, sotto la guida di George Bush, sembrava avviarsi ogni giorno di più verso l'intervento militare a fronte della caparbietà irachena nel rivendicare come suo diritto l'invasione dello Stato del Golfo Persico. Le discussioni anche tra noi giovani ruotavano tutte attorno all'attualità di quelle settimane. Il giorno in cui è scaduto l'ultimatum delle Nazioni Unite al dittatore iracheno, eravamo tutti col fiato sospeso, dominava una sensazione generale di ansia e di attesa.

Un'attesa spezzata improvvisamente dall'annuncio, nella notte italiana, che era iniziata l'operazione Desert Storm con cui le truppe della coalizione intendevano liberare il Kuwait. Contemporaneamente le immagini del conflitto e dei bombardamenti su Baghdad cominciavano a essere diffuse. Per la prima volta in vita mia, a quasi ventitré anni, la guerra cessava di essere un racconto che ascoltavo dal nonno o da altri adulti. (...) Mi arrivava in casa, con le immagini in diretta delle esplosioni che illuminavano il cielo iracheno o dei mezzi corazzati che sfidavano il deserto. Appartengo a una generazione cresciuta con i racconti della guerra vissuta dai nonni, che la descrivevano con episodi e vicende ben circostanziati e molto vividi. Solo da adulto avrei compreso appieno in quale fase delicata si trovava la nostra società quando sono venuto al mondo, nel 1968: apoco più di una ventina d'anni dalla fine del secondo conflitto mondiale e agli albori della grande contestazione studentesca, nel pieno degli effetti del boom economico, ma in un contesto sociale in cui ancora non erano state superate le ferite della guerra. Nei nostri paesi, infatti, erano ben presenti i segni lasciati da quella tragedia: in non poche famiglie c'era un congiunto che non aveva mai fatto ritorno dalla Russia, dalla Grecia, dalla Jugoslavia o da qualche altro fronte.

 

 

 

LE FAMIGLIE

Quando ci ritrovavamo tra noi ragazzi, nessuno si sarebbe stupito se qualche coetaneo avesse detto di non aver conosciuto il nonno perché era uno dei tanti caduti o dispersi tra il 1940 e il 1945. Anche i segni della guerra civile che ha caratterizzato gli ultimi due anni del conflitto erano noti. Non era un mistero, infatti – anche se l’argomento era trattato dai più come qualcosa da lasciare sottotraccia –, il motivo per cui c’era gente che dopo anni si guardava ancora di traverso; a volte anche persone provenienti dallo stesso nucleo familiare.All’origine dell’ostilità c’erano vecchie ruggini che risalivano agli anni di quella che era stata la Resistenza per gli uni e l’ultima esperienza del regime fascista per gli altri. Le scelte fatte in gioventù in quei tempi tribolati sembravano essere rimaste come un marchio per tanti, così come i ricordi di molte tragedie.

Nelle zone da cui provengo era ancora nella memoria comune il ricordo delle deportazioni e delle rappresaglie compiute dai tedeschi e dai reparti fascisti, ma non erano state dimenticate nemmeno le stragi del Bus de la Lum, una foiba sull’altopiano del Cansiglio, che erano attribuite a bande partigiane. Sapevamo anche di qualcuno che parlava veneto come noi ma con un accento marcatamente diverso, che testimoniava come tra gli effetti peggiori della guerra ci fosse anche la scelta di libertà di coloro che avevano preferito la via dell’esodo, per non restare vittime dell’odio etnico scatenato dalle bande titine nelle regioni orientali dell’Adriatico. A scuola, ai miei tempi, non si parlava delle foibe, dramma che per decenni è stato ignorato fino all’istituzione per legge del Giorno del Ricordo.

IDENTITÀ NEGATA

Mi sono reso conto in seguito di quale dramma abbiano rappresentato le foibe e l’esodo. In particolare conoscendo di persona tanti esuli giuliani e dalmati che, abbandonandola propria casa, gli affetti,i beni ele amicizie, hanno scelto il Veneto per continuare liberi la loro vita; il segno di un antico legame che risale ai tempi della Serenissima. Da presidente della Regione, ogni anno in questo giorno dedico a loro un messaggio, così come faccio nel Giorno della Memoria per ricordare tuttii cittadini ebrei perseguitati dal nazifascismo e vittime dell’Olocausto. Soffermarsi per riflettere sugli orrori del passato è il modo migliore per apprendere il vero insegnamento della storia. Onorare le vittime di simili tragedie non è e non deve essere un atto politico, ma l’espressionediunamemoria e una coscienza condivisa che impone il rifiuto e la condanna di qualsiasi sistema che si organizza sull’odio razziale ed etnico o sulla persecuzione a danno della libera e civile convivenza. Sono convinto che conservare la memoria di fronte agli orrori della storia sia l’unica arma per neutralizzare tentazioni di minimizzare, negare o rileggerela veraportata di quegli eventi.