Il caso

Svante Pääbo, vince il Nobel ma "La Stampa" lo loda perché a letto è fluido

Giovanni Sallusti

Fare la satira di un pezzo (seppur involontariamente) satirico non è un buon servizio per il lettore, quindi cercheremo di stare seri. La notizia: Maria Laura Rodotà ci ha spiegato ieri su La Stampa perché è giusto che il biologo svedese Svante Pääbo abbia vinto il premio Nobel per la Medicina. Per gli studi con cui ha sequenziato il Dna dell'uomo di Neanderthal e ne ha dimostrato gli influssi su noi Sapiens, ci verrebbe da dire, ma siamo gente semplice. Maria Laura no, lei è Sapiens al quadrato, ed eleva un peana a «una delle poche scelte progressiste viste ultimamente». Se vi chiedete perché sia dirimente il tasso di progressismo dello scienziato, e non il suo spessore scientifico, è segno che leggete da troppo tempo Libero, aggiornatevi. Anzitutto, «è stato premiato uno scienziato sincero e contento della sua fluidità sessuale». Se fosse stato un riservato, un omosessuale latente o irrisolto alla Thomas Mann, o anche solo un arcaico eterosessuale con venature di misoginia come Albert Einstein, al diavolo i Buddenbrook e la relatività, tutta fuffa. Viceversa, Pääbo è stato «per decenni attratto dagli uomini», salvo poi «iniziare una relazione con una donna» che è diventata sua moglie. Incontestabili meriti acquisiti sul campo, ovvero la camera da letto (che ormai per tutte le Rodotà è il luogo in cui stanare i reazionari, quelli monofocalizzati sulla vulva).

 

 

 

Dopodiché, e come non averci pensato, «è una scelta interessante anche per la comunità Lgbtqi» (eravamo rimasti a "Lgbtq", le lettere della sigla si moltiplicano come solo le castronerie degli editorialisti). Anzitutto, «Pääbo non si identifica come gay, ma come bisessuale». Elemento fondamentale, perché lo colloca nel «Terzo Polo dell'identità di genere», lo fa assurgere a Calenda della sessualità. Come l'originale, è «guardato con diffidenza» e «unanimemente considerato inaffidabile» da ambo i poli. È per questo che le «persone bi» sono «più nervose» e «consumano più alcol e droghe», oltre che per alcune «delusioni recenti». Per dire: «La prima bisessuale al Senato degli Stati Uniti, la democratica Kyrsten Sinema, si è rivelata una fregatura e nei voti decisivi sta coi repubblicani». Sono questi obbrobri, rappresentanti del popolo fluidi anche nella loro libertà di voto, che generano alcolismo diffuso nella comunità Lgbtq(i) e che possono essere sanati dal Nobel bisessualmente corretto (forse anche l'autrice di siffatti teoremi non coltiva del tutto la sobrietà, ma è solo un sospetto).

 

 

 

Attenzione però: il «Nobel Gender» è «doppiamente politico». Essì, «perché Pääbo è uno di quelli che la nuova Europa sovranista e l'America post-trumpiana assurda vorrebbero poter discriminare». E tu te li raffiguri questi incalliti omofobi, la neosovranista Ursula Von der Leyen e il post-trumpiano assurdo Joe Biden, che non vedono l'ora di fare la pelle a quelli come Pääbo, mica come quei gentiluomini degli ayatollah iraniani (che quantomeno avrebbero avuto un senso nel ragionamento allucinato, ma sarebbe stato politicamente scorretto citarli). Ultimo ma decisivo merito, Svante non ha solo «una storia sessuale fluida», bensì anche «una famiglia d'origine poco regolare». È infatti figlio di una «madre singola» (sic) con cui lo scienziato Sune Bergström ebbe una relazione extraconiugale. Questo gli ha insegnato che «non si mettono i genitori su un piedistallo». Come argomenta lucidissima la Rodotà: «Vallo a spiegare a quelli della famiglia tradizionale», o a quelli che giustificano atti come «insultare una coppia omosessuale in spiaggia» o covare «astio verso la schwa», il segno grafico finale «non binario» che abolisce la distinzione criptofascista maschile/femminile. Sono «comportamenti da Neanderthal (ma neanche spiegherebbe Pääbo)», chiosa Maria Laura, buttando là un'allusione forse propedeutica al prossimo pezzo: quel gay primitivo dell'uomo di Neanderthal.