Bella roba

Beppe Grillo, il brigatista rosso sta con lui: chi è quest'uomo

Alessandro Gonzato

Dalla parte di Beppe Grillo ci sono pluriomicidi ed ex terroristi, e Giuseppe Conte ha già dichiarato che se il centrodestra proverà a togliere il reddito di cittadinanza scoppierà «una guerra civile». Il capocomico lunedì ha suonato l'adunata per i 3 milioni di percettori del sussidio conferendogli quasi la divisa di un esercito incazzato, e l'ha fatto attaccando chi vuole impedire loro («qualcuno», ha scritto sul blog) di pitturare una panchina ai giardinetti o raccogliere due cartacce, quindi lavori socialmente utili volontari però, da svolgere come e quando si vuole in cambio dell'attuale mantenimento (...) di 700-800 euro al mese invece di un impiego vero il cui stipendio andrebbe guadagnato col sudore. «Brigate di cittadinanza a rapporto! (...). L'iniziativa delle Brigate nuoce gravemente alla Comunità. Autorizzazione ministeriale non richiesta», ha tuonato Grillo.

 

 


Il cabarettista ha incassato le aspre critiche del centrodestra ma nelle ultime ore anche l'appoggio di ex brigatisti protagonisti degli anni più sanguinosi dal dopoguerra. Sergio Segio, a lungo a capo dell'organizzazione armata di estrema sinistra Prima Linea e incarcerato per omicidio, banda armata e concorso in altri crimini fu condannato all'ergastolo, poi ridotto in base alla legge Gozzini ha detto che la «questione» gli sembra «francamente un po' risibile». Ha definito la polemica «pretestuosa». «Però non mi interessa, sono riferite a un passato così lontano... e io da decenni mi interesso di altro».

 

 

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IL TENTATIVO
Be', per fortuna. Raccontalo però a Mariella Magi Dionisi, vedova dell'appuntato Fausto Dionisi ucciso nel 78 a soli 24 anni durante un fallito tentativo di alcuni militanti di Prima Linea di evadere dal carcere delle Murate di Firenze, della «pretestuosità della polemica», e che «ci sono anche le Brigate della pace», così ha liquidato la questione l'ex brigatista Segio. «Grillo ha perso un'occasione per stare zitto», ha commentato la signora, «e dovrebbe studiare di più la storia degli anni '70-'80-'90. Abbiamo lasciato sulle strade troppi morti per poterci scherzare sopra», ha aggiunto la Dionisi, che è presidente dell'"Associazione Memoria". Alla morte di suo marito ha concorso Sergio D'Elia, anche lui in Prima Linea durante gli Anni di Piombo (ha abbandonato la lotta armata dopo 12 anni in prigione, poi è stato riabilitato ed eletto in parlamento con La Rosa nel Pugno).


D'Elia è stato riconosciuto colpevole in "concorso morale" nell'attentato (per i giudici non ha partecipato fisicamente ma era conoscenza del piano), e anche lui ieri è tornato a parlare per dire che «nella tradizione operaia c'erano le brigate del lavoro, nell'esercito ci sono le brigate, e non è che il termine non si usa (non si debba usare, ndr) perché richiama le brigate rosse. Io non mi sento di criminalizzarlo (Beppe Grillo, ndr) per l'uso di una parola in un contesto totalmente diverso, se non opposto, a quello a cui si fa riferimento». Opposto in che senso? Per D'Elia «"brigate" indica una forma di aggregazione». Ma contro Grillo si è scagliato anche il presidente dell'Osservatorio "Anni di Piombo", Potito Perruggini: «Sono stati al governo fino a poco fa ma non hanno fatto nulla. Non si possono permettere di usare termini come "brigate" che richiamano nella memoria violenza e sopraffazione. Questa tensione che tendono ad alimentare è da irresponsabili, istigazione a delinquere. Si stanno per un'opposizione brutale e delirante». Ha difeso Grillo anche Francesco Piccioni, ex Br, condannato all'ergastolo, mai pentito.