A senso unico
Marco Damilano, come ha letto le scuse su Rai 3: l'ultima vergogna
Stavolta Marco Damilano era rosso anche in faccia. Gli è toccato leggere, con arroganza, l'umiliante (per lui) decisione dell'Autorità per le comunicazioni davanti ai telespettatori di cui si vanta. La carnevalata messa in scena contro il centrodestra assieme a Bernard-Henri Levy è stata una vergogna. E l'Agcom lo ha punito.
Lui, stizzito, ha dovuto dirlo agli ascoltatori, aggiungendoci la parolina libertà. Ma pretendeva lui le scuse? Il servizio pubblico radiotelevisivo non può permettersi di fare quello che gli pare, e soprattutto a una manciata di giorni dal voto del 25 settembre. Ci sono norme che regolano la par condicio e con la sua trasmissione Damilano le ha violate tutte. Lo dice proprio l'Agcom, che non è una pericolosa centrale della destra eversiva. Il conduttore de Il Cavallo e la Torre ha dunque dovuto fare ammenda pubblicamente. Quelle sei parole le ha pronunciate inghiottendo amaro: pluralismo, obiettività, completezza, correttezza, lealtà e imparzialità. Sono i requisiti principali della par condicio, violati in maniera clamorosa. Noi tutti paghiamo il canone, ieri sera chi li ha messi da parte lo ha dovuto ammettere in tv. E ci voleva perché proprio il canone è una delle tasse più odiate dagli italiani, paghiamo per far parlare male di noi, dice la maggioranza dei cittadini che col voto di domenica certificherà l'orientamento prevalente nel nostro Paese.
Ma non è mica finita, perché c'è l'altra parte della commedia. Inscenata dal Pd, a conferma che i giornalisti rossi non si toccano, soprattutto nel fortino Rai. La delibera dell'Agcom che ha ordinato a Damilano di riparare alla pessima figura, è stata votata da tutti i consiglieri, tranne quella nominata dal Parlamento come membro dell'Authority proprio dal Movimento Cinque stelle, Elisa Giomi. «Bisogna dire di no», è stato l'ordine del Nazareno nonostante lo spettacolo osceno andato in onda su RaiTre. Ed è stata dimostrata l'obbedienza politica a Enrico Letta. Abbastanza pittoresco, potremmo dire. Il lavoro sporco lo devono fare gli ex alleati...
Non pago, il Pd è andato addirittura oltre. Arrivando al ricatto, per vendicarsi comunque dell'Agcom che ha osato punire la Rai. «Il Partito Democratico si riserva ogni azione utile per la valutazione complessiva della possibile disparità di trattamento, in questa competizione elettorale, e proporrà al nuovo parlamento una riforma della L. 28/2000 e del ruolo di Agcom, a partire dai meccanismi di nomina». Cioè, quei commissari dell'Authority vanno cacciati, come si permettono di sanzionare un compagno, la Rai, il nostro fortino? È la commedia dell'assurdo, è la rappresentazione plastica di un metodo partitocratico che pretende ancora di mettere la mani non solo sulla Rai, ma persino sull'autorità di garanzia. Il Pd sarà in minoranza nel prossimo Parlamento e tutti lo sanno. Il suo ricatto resterà lettera morta e serve solo a far vedere di saper alzare la voce. Ma resta grave il tentativo di intimidire chi sta semplicemente facendo il mestiere di controllo che gli assegna la legge. Che volle proprio la sinistra nel 2000, su input dell'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. «Vogliamo le regole». «E se poi non stanno bene cambiamo chi le deve far rispettare».
Ma è una musica stonata. Già avevano steccato malamente, al Pd, contro la proposta salviniana di abolizione del canone Rai, e ora pretendono di fucilare sul campo l'Autorità. Non va affatto bene, ribattono dalla Lega, perché il servizio pubblico radiotelevisivo "non è cosa vostra": «Dopo la puntata vergognosa e a senso unico andata in onda nella striscia di Damilano contro Salvini e la Lega, la decisione dell'Autorità garante nelle comunicazioni di sanzionare Il cavallo e la torre è sacrosanta. Il fatto che ora i signori del Nazareno pretendano la riforma della stessa Agcom e, udite udite, addirittura il sistema delle nomine - arte in cui proprio i Dem sono maestri assoluti - è il sintomo più evidente di un partito terrorizzato dalla sconfitta elettorale. Scacco matto in arrivo». A parlare è un giovane deputato leghista, Toccalini. Ma il Pd è già vecchio...