Rivelazioni

Renato Vallanzasca, "l'onorevole pronta a fuggire con lui": chi vuota il sacco

Giovanni Terzi

Da quasi mezzo secolo Renato Vallanzasca sconta il suo "fine pena mai" nel carcere di Bollate peri gravi crimini commesse, omicidi compresi. Antonella D'Agostino, amica d'infanzia ed ex moglie del boss della mala milanese, ritiene opportuno dare possibilità al criminale italiano di cercare di ricostruire un percorso di integrazione. Dopo il furto di mutande in un grande magazzino, a Vallanzasca furono ritirate le concessioni concesse dal tribunale di sorveglianza. Per protesta il suo avvocato, Davide Steccanella, rinunciò al mandato di difenderlo. Così ci scrive: «Sono stato l'avvocato di Vallanzasca ed è stata l'esperienza più frustrante della mia vita professionale leggere due anni fa che per un magistrato di sorveglianza, appena subentrato al precedente che aveva seguito l'intera istruttoria, occorreva un "percorso graduale" per concedere la semilibertà a un ultrasettantenne con più di mezzo secolo in carcere alle spalle. Responsabile - negli ultimi 40 anni - unicamente di un tentato furto di mutande del valore di 30 euro. Gli esperti del carcere di Bollate, dove Renato è rinchiuso, avevano scritto di un "cambiamento profondo, non solo anagrafico, ma intellettuale ed emotivo e frutto di sofferenza che sa emergere in modo autentico e non sovrastrutturato e che appare di un livello tale che non potrebbe progredire con altra detenzione, che potrebbe, di fatto, al contrario sollecitare una nuova chiusura dello stesso". Cosiil giorno 27 maggio 2020 rinunciai con molta amarezza al mandato di difendere Vallanzasca, inviando una nota riepilogativa al presidente del Tribunale, che stimo molto, ritenendo incompatibile il mio ruolo con le ragioni che mi avevano spinto tanti anni prima a fare l'avvocato e continuare a prestarmi a un qualcosa che non ero più neppure in grado di spiegare al mio assistito. La nostra Costituzione impone il recupero sociale del deviante e non il suo seppellimento a vita, e la giustizia deve essere uguale per tutti anche quando il detenuto si chiama Renato Vallanzasca"».

 

«Se Renato avesse detto la verità, sarebbe libero da almeno quindici anni». Chi parla è Antonella D'Agostino, ex moglie e da sempre amica di Renato Vallanzasca, il boss milanese della banda della Comasina protagonista di importanti fatti criminali che gli sono costati quattro ergastoli e 295 annidi carcere.

Cosa intendi dire con questa frase, Antonella?
«Se Renato avesse sulla propria vita raccontato la verità, certamente sia i giudici che le persone comuni sarebbero state più indulgenti nei suoi confronti. Io non so perché si sia costruito una vita di menzogne, a partire dalla sua infanzia. Ma così è stato, purtroppo» 
Parli dell'infanzia di Vallanzasca perché è lì che tu lo conoscesti? 
«Eravamo ragazzini di dieci e undici anni, vivevamo al Giambellino, periferia sud di Milano. Renato abitava in via Apuli con quella che chiamava "zia" ma che in realtà era la donna del suo papà. Renato ha avuto una vita davvero complicata, d'altronde al Giambellino c'era la crema della delinquenza, e sin da giovane sono iniziate le sue bugie».
Tipo? 
«Ricordo benissimo le domeniche in cui lui aspettava che la mamma, quella biologica, lo venisse a prendere. Renato la attendeva per ore dicendo a tutti "sta per arrivare mia mamma" ma, alla fine, non veniva mai. Ricordo la delusione nei suoi occhi e di come lui fingesse di mascherare tutto con il suo fare da guascone, quasi negando l'evidenza. Proprio da lì, quando era ragazzino, ha iniziato a far diventare la bugia uno stile di vita per costruirsi la personalità del capo, quando in realtà è ben altra cosa».
Come è Renato Vallanzasca? 
«Renato è un uomo generoso e per nulla cattivo. Lui risponde con la violenza se vede che ci sono dei soprusi e delle meschinità. Su un segnalibro io scrissi: "Quando conobbi lo scugnizzo dagli occhi blu, meno bello di quanto è stato dipinto ma più intelligente di quanto avessero scritto... Basta film che glorificano il proprio ego ma che lo allontanano dalla via maestra della verità...". Ecco, Renato è questo: narciso e bisognoso di attenzioni e, per far sì che questo accada, è stato disposto a costruirsi una vita da quattro ergastoli».
Voi, prima che marito e moglie, eravate amici da piccoli. Che ricordo hai di Vallanzasca ragazzino?
«Renato è cresciuto con una famiglia sgangherata. Vivevamo al Giambellino e uscivamo in compagnia con altri ragazzini andando lungo i Navigli a giocare e fare il bagno. Ricordo una volta che andammo tutto insieme a liberare gli animali in una tenda di un circo, poco lontano da casa. Per quella azione, penso avesse circa dieci anni, venne prelevato dai carabinieri e portato al carcere minorile Cesare Beccaria. Ma credimi che ha avuto una vita davvero faticosa e brutta, da bambino. Ricordo anche una scena raccapricciante...».
Quale? 
«Eravamo a fare il bagno nel Naviglio e un nostro amico si tuffò rimanendo ucciso dalle lame delle grate della diga. Una scena terribile, impossibile da dimenticare. La differenza tra me e lui è stata proprio la famiglia. La mia era una famiglia normale, di lavoratori, i miei zii, con cui vivevo, avevano saloni di parrucchiere, mentre la sua era davvero precaria. L'unico punto di riferimento della sua vita era suo fratellastro, Ennio, che però fu il grande dolore della sua vita».
Cosa accadde? 
«Dapprima, erano gli anni Sessanta, Renato trovò la moglie del fratellastro morta, uccisa e fatta a pezzi, nella cantina di casa. Poco tempo dopo anche il fratellastro venne trovato morto in un campo: e anche qui continue bugie, dicendo che si era suicidato, mentre la verità era un regolamento di conti perché faceva il "magnaccia". Fu un colpo ferale per Renato: lui amava Ennio sopra ogni cosa, sono convinta che da quel dolore non si sia più ripreso».
Però Renato faceva rapine già a dieci anni? 
«Guarda, erano reati stupidi: rubava caramelle e qualcosa della spesa, ma sai che cosa ne faceva?».
Dimmi. 
«Le regalava agli anziani del quartiere o le vendeva per portare soldi in famiglia. Renato si poneva come un lord, ma erano davvero in stato di indigenza, e anche questa è una delle grandi bugie del "bandito dagli occhi di ghiaccio"».
Tu parli di gentilezza e generosità di Vallanzasca ed è la stessa cosa che disse Emanuela Trapani, la 18enne rapita nel dicembre 1976. Che cosa accadde, secondo te? 
«A quanto ha sempre raccontato la Trapani, ci fu un grande savoir fair di Renato e della banda. Sorseggiavano champagne, disse Emanuela, ed era libera di muoversi all'interno della casa...».
Ma ci fu una relazione? 
«Difficile resistere a Renato, ma non ho alcuna prova di questo. Se poi mi chiedi un'opinione, io ti rispondo di sì, secondo me ci fu una storia».
Altro amico di Vallanzasca è stato Francis Turatello, l'altro grande bandito della Milano anni Settanta. Che rapporto avevano? 
«Di fratellanza. Francis è stato importante per Renato, e quando nell'agosto del 1981 venne ucciso nel carcere di Nuoro fu un'altra mazzata emotiva».
Da chi fu ucciso Turatello? 
«Fu ucciso dai siciliani emergenti». 
Epaminomda (malavitoso di origine siciliana attivo a Milano fra anni Settanta e Ottanta) non c'entra nulla? 
«Epaminomda era nessuno. Faceva il lavapiatti e i panini nelle bische di Francis, non contava alcunché. Costruirono dopo il mito senza che ne avesse alcun merito».
Tu che rapporto avevi con Francis Turatello? 
«Ti dico solo che porto ancora i fiori sulla sua tomba e alla fine mi porterò le sue ceneri a casa».
Turatello ha avuto un figlio: hai rapporti con lui? 
«Eros lo sento e lo vedo ogni tanto, c'è un bellissimo rapporto. Posso dire che Eros è il figlio che Francis desiderava: lavoratore e per bene».
Antonella, quando rincontrasti Vallanzasca? 
«Dopo tanti anni di carcere si fece vivo anche in un periodo difficile della mia vita, quando ebbi una terribile disgrazia, e lui mi stette molto vicino».
Che cosa fece? 
«Io ero disperata e non trovavo alcun motivo per sopravvivere dopo questa tragedia, mi ero chiusa in me stessa. Lui mi spronava in tutti i modi, cercando di farmi capire che avevo un altro figlio a cui rendere conto. Pensa che per spronarmi arrivò a dirmi che dovevo uccidermi».
Addirittura?
«Era un suo modo, magari deciso e forte, per mettermi di fronte alle mie responsabilità. Ebbe ragione lui e riuscii a superare tutto anche se, credimi, penso a questo dolore ogni giorno».
Come è stato il tuo matrimonio con Vallanzasca?
«Dal 1° maggio del 2005 sono riuscita a portarlo fuori dal carcere e fino al 2013 non ha commesso alcun reato. Il nostro matrimonio è stato molto bello e intenso, e il nostro rapporto, nato come amicizia, si è trasformato in amore per tornare adesso ad essere di grande e affettuosa amicizia».
Poi i benefici della semilibertà gli sono stati tolti per il furto di un paio di mutande all'Upim...
«Una storia senza senso. Renato non ha rubato le mutande, le ha messe nel sacchetto per distrazione. Ma ti pare che abbia potuto fare una cosa così stupida? E ti sembra normale che per una cosa del genere revochino ogni beneficio a un uomo che per quarant'anni si è comportato bene?».
Tu difendi ancora Vallanzasca.
«Io credo che sia inumano che una persona non possa redimersi e ricominciare una nuova vita. Difenderò sempre Renato e mi batterò "da amica" perché lui possa uscire in semilibertà».
Perché è finito il vostro matrimonio?
«Le donne, solo per le donne. Renato non se ne perdeva una e non sai quante facevano follie per passare del tempo sotto le lenzuola con lui».
Hai qualche aneddoto?
«Ricordo quando una mise una tenda fuori dal centro sociale "Il Gabbiano" dove Renato prestava servizio. Lui uscì ed entrò nella tenda per farci l'amore e poi...».
E poi?
«Poi questa busta con il timbro della Camera dei deputati, con un biglietto su cui un'onorevole negli anni 2000 gli scrisse: "Fuggiremo come i gitani nell notte..."».
E chi era questa onorevole?
«Non lo dirò mai: non sarei Antonella D'Agostino».