L'intervista
Massimo Giletti: "Purghe e slogan, la Rai è russa? Chi sono i veri putiniani della tv"
«Se dirigi un telegiornale, selezioni gli ospiti in base alle notizie, ma un talkshow è costruito sulle idee e sulla loro contrapposizione. Se l'amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, afferma che i talkshow non fanno approfondimento giornalistico, io inizio a sospettare che qualcuno voglia istituire un ministero della Verità, che scelga conduttori programmati per seguire una linea imposta dalla politica».
Difendi Bianca Berlinguer?
«La difenderò sempre, a prescindere dalle sue idee. È una donna libera e intelligente, ha la responsabilità di un programma e quindi ha il diritto di godere di ampia autonomia. Invece sta subendo una censura di Stato perché ospita Orsini o la Di Cesare. Ma sono due professori universitari. Certe pressioni sono inaccettabili, incompatibili con la libertà...».
Aria di epurazione in Rai?
«La Berlinguer è di sinistra, ha diretto il Tg3, ha la colpa di essere sfuggita di mano a chi pensava di poterla controllare. È considerata una traditrice. Ma io guardo oltre Carta Bianca...».
Alle Politiche del prossimo anno?
«Esatto, andiamo incontro a una campagna elettorale decisiva e il quadro politico è molto in bilico, si avverte grande tensione sia a sinistra sia a destra. Avere un conduttore più gestibile in un talkshow fa comodo a molti. Guarda chi si è alzato a difendere la Berlinguer: Salvini, Meloni, i grillini, e poi?».
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Non solo in televisione, Massimo Giletti è sempre nell'arena. Un combattente dell'informazione, che può spesso apparire anche ruvido. «Non devo sparare» premette, ma la sua analisi è ad alzo zero. «Sono d'accordo nella difesa dei nostri valori occidentali. È giusto averne un'alta considerazione, però tutelarli significa anche essere capaci di fare autocritica. Dove finisci se inizia a censurare Dostoevskij? In Russia. Trasformi la tragedia in farsa, metti in gioco la tua libertà e ti ritrovi a pensarla come Putin». Di epurazioni Rai, il conduttore di Non è l'Arena può parlare per esperienza diretta. Era il 2017, guarda caso un altro anno pre-elettorale. «Quando decisero di chiudere me, si disse che serviva una domenica più serena e che il mio talkshow non rientrava più nella linea editoriale. Mi ero illuso che i nostri quattro milioni di telespettatori bastassero per difendere la libertà di raccontare la realtà. Avevo sempre detto ai miei che eravamo come gli ammutinati del Bounty, ma non pensavo si potesse arrivare a tanto. Bianca invece ha un partito dietro, o ce l'aveva...».
Ma il talkshow non è una formula logora?
«Può darsi che siano un po' troppo lunghi, ma assegnarli a personaggi improvvisati non li può certo aiutare. Se i vertici Rai sostengono che non sono adatti per fare approfondimento, è solo perché vogliono mascherare qualcosa di diverso: non intendono assumersi le responsabilità di quel che fanno».
Però in Rai ha sempre comandato la politica, o no?
«C'è anche un problema di qualità. La Rai di Bernabei era figlia del manuale Cencelli, ma esprimeva giornalisti di qualità tale che riuscivano a dire di no alla politica. Oggi invece ci vantiamo della nostra grande democrazia ma le nomine di direttori di rete e testate giornalistiche sono tutte politiche, e i partiti, che pretendono di decidere chi può condurre e chino, si scandalizzano solo quando non vengono accontentati».
Il centrodestra in questo gioco delle poltrone occupa sempre quella dello spettatore...
«Ha un grande limite: non riesce a guardare al contenuto: dovrebbe dare i prodotti in mano a chi li sa fare, non a chi pensa possa fiancheggiarlo e poi o fallisce o sterza per sopravvivere. Dovrebbe fare come Berlusconi con Mediaset, avere il prodotto come obiettivo primario, e poi il resto verrebbe da sé».
A proposito di prodotto, la Rai ha un solo talkshow serale...
«O ce l'aveva... Infatti il servizio pubblico lo fanno le televisioni private. Il canone andrebbe versato a La7...».
Ti è piaciuta l'intervista di Mediaset al ministro degli Esteri russo, Lavrov?
«Ci ha permesso di avere una visione di come la pensa il Cremlino. Puoi giudicare giornalisticamente la qualità delle domande che gli sono state fatte, ma se ti metti a sindacarne l'opportunità e il valore politico allora significa che in Italia c'è un ministero della Verità che pretende di sovrintendere l'informazione".
È un fenomeno partito con il Covid e che si è trasferito sulla crisi ucraina?
«Pandemia e guerra sono due crisi globali senza alcun parallelismo tra loro, però hanno in comune il modo in cui è stata gestita dalle istituzioni l'informazione ai cittadini. La politica, per legittimare le proprie decisioni in emergenza, ha puntato tutto sulla paura, agitando gli spettri della peste del millennio e dell'avvento della terza guerra mondiale. Qualcosa di molto simile al ministero della Disinformazione di scuola leninista».
E la società ha reagito con un impazzimento generale...
«Quando l'autorità fa scadere la discussione nel baratro della paura, il sistema entra in crisi, le amnesie si moltiplicano e i cittadini vanno in cerca della prima verità che gli viene servita a buon mercato, sia in un senso sia nell'altro. Impazzano i social e nessuno ti aiuta a discernere il vero dal falso; a quel punto, la politica non può più intervenire perché, puntando solo sulla pancia, ha perso autorevolezza di analisi e non si può permettere il lusso di dire la tutta verità, esponendo la complessità della situazione e le sue inevitabili contraddizioni».
Siamo al dominio dell'irrazionalità?
«Se vuoi affrontare tutto in modo semplificatorio, con slogan tipo "andrà tutto bene", "salviamo i nonni", l'America difende la libertà nel mondo", che sono l'opposto di ogni riflessione critica, fai passare il messaggio che chi la pensa diversamente è fuori dal consesso civile. Ma questo è il contrario della democrazia, che significa saper ascoltare, e porta all'irrazionalità e all'ingovernabilità delle opinioni, nonché allo scadimento dell'autorevolezza delle istituzioni che le esprimono».
Però se un conduttore invita degli squinternati in televisione non diventa complice del dominio dell'irrazionalità?
«Io ho invitato Soloviev, che è un fidato di Putin, conduce il più importante talkshow russo e possiede due ville in Italia che gli abbiamo sequestrato. Ognuno risponde alla propria coscienza, a me giornalisticamente interessa il suo punto di vista e mi parrebbe strano e poco democratico privarne il pubblico italiano. Lui parla, ma in studio medio e gestisco io. La cosa che mi pare davvero squinternata è che il Copasir, Comitato parlamentare perla sicurezza della Repubblica, me ne potrebbe chiedere conto».
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Passi per Soloviev, ma certi propagandisti al soldo di Putin sono impresentabili...
«Kissinger, l'ex segretario di Stato americano, sostiene che noi occidentali siamo convinti che il nostro modo di vivere e pensare sia il solo che abbia valore e guardiamo male chi ha principi diversi. Invece non è così, la verità non è universalmente la stessa, devi mantenere e difendere la tua identità, ma nel confronto, che rafforza la democrazia, non ideologicamente».
E tu, che sei andato in onda da Odessa, che cosa pensi di questa guerra?
«Che per avere gas a basso prezzo, negli anni l'Occidente è caduto nella trappola di Putin, ha finto di non vedere quel che accadeva e non ha fatto nulla per fermare l'espansione imperialistica della Russia. Non ci vuole un genio per capire che Putin, che arriva dal Kgb, non è democratico. Quel che mi ha sconvolto non è stato il fatto che si sia rivelato un dittatore senza scrupoli, ma la constatazione dell'impotenza dell'Europa di fronte a quel che sarebbe successo. Se l'Europa non imparerà a essere più forte e autonoma e si farà sempre tirare per la giacchetta dagli Stati Uniti, finirà nell'angolo, schiacciata tra Washington e Pechino».
E di come finirà in Ucraina?
«Russi e ucraini hanno la stessa natura. Sono duri, non si arrenderanno mai. Nelle popolazioni c'è volontà di pace, ma alla lunga odio chiama odio. La Russia mi sembra in reale difficoltà ma chissà se gli americani vogliono davvero trovare una soluzione o preferiscono continuare ad alzare l'asticella.Draghi, con Macron, sta lavorando alla pace. Il nostro premier ha grande qualità, già all'inizio si era mostrato poco allineato all'idea di chiudere il gas russo, poi un articolo del Financial Times lo stoppò. Ora forse il vento è ricambiato, però la difficoltà per noi è l'inesistenza dell'Europa, che ha un problema di identità, prima ancora che di unità: il nostro futuro dipende da come l'Unione uscirà dal conflitto».