Quanta umanità
"Quanto è bella uccidere un fascista". Concita De Gregorio non applaude e viene insultata: vergogna-sinistra
Benvenuta nel club, Concita. Siamo contenti di vederti inserita tra coloro che, solo per aver osato non accodarsi al plauso collettivo imposto dal Politicamente Corretto, vengono additati di essere fascisti. E la cosa fa ancora più scalpore visto che la De Gregorio - ex direttrice dell'Unità, ora conduttrice del programma In Onda su La7 - non è certo tacciabile di simpatie destrorse.
Ma è bastato un suo abbandono della seggiola anzitempo allo spettacolo teatrale cui assistevano tanti democratici dei salotti buoni e in cui si raccontava «la bellezza di ammazzar fascisti» per scatenare nei suoi confronti l'ira (democratica) del pubblico. Ieri nella sua rubrica su Repubblica la giornalista raccontava un'esperienza in cui suo malgrado si è trovata coinvolta in un teatro di Roma, durante la pièce Catarina e la bellezza d'ammazzar fascisti. Si tratta di un'opera, messa in scena da un regista portoghese, in cui, evocando il motto "Uccidere un fascista non è un reato", si narra una tradizione decennale della famiglia di Catarina, la protagonista: e cioè ammazzare un seguace o un nostalgico delle camicie nere. La stessa Catarina tuttavia, al momento di eseguire a sua volta questo macabro rito ideologico, sceglie di non farlo. Da cui una interessante disquisizione filosofica su cosa sia il Male e come si debba contrastarlo, se ci sia posto per la violenza nella costruzione di un mondo migliore e quanto, per debellare un nemico, sia lecito ricorrere ai suoi stessi mezzi.
TRAGICOMMEDIA - La pièce, che attinge a duecento ore di comizi di politici di oggi, si chiude con il monologo finale di un uomo di governo fascista; discorso che il pubblico in sala è libero di approvare o di fischiare. Ma che, vista la platea cui l'opera è destinata, viene inesorabilmente sommerso di fischi.
E qui si consuma la tragicommedia, termine appropriato visto che parliamo di teatro, di cui è stata vittima Concita. La quale ha fatto l'errore di andare «due sere di seguito a vedere lo stesso spettacolo», come lei racconta, dimenticando che non si torna mai sul luogo del delitto (del fascista). Lei dice di esserci «tornata perché volevo riascoltare il testo e volevo vedere se cambiava, e come, la reazione del pubblico fra una sera e un'altra.
Un interesse antropologico, diciamo così».
Sennonché ha fatto l'altro "errore" - ma solo agli occhi degli altri spettatori perbenisti - di lasciare il teatro prima che l'opera finisse, ossia «dopo i fischi della platea ma prima del sipario e degli applausi». A chi le era a fianco il gesto è suonato come una diserzione, anzi una forma di collaborazionismo col nemico (nero) e di dissenso rispetto al tripudio di disapprovazione contro l'attore che incarnava il politico fascista e di ovazioni per il regista che aveva ideato lo spettacolo antifascista. «Una spettatrice dalla fila dietro la mia», scrive Concita, «a voce molto alta mi ha chiesto, accusatoria: La signora se ne va senza applaudire? Sottotesto: sta dalla parte del fascista?». A quel punto, continua la giornalista, «è partita una scena da musical: da varie file, come in una coreografia, hanno cominciato a ripetere non applaude? Si vergogni. Brava, fa bene a correre fuori».
GOGNA DEMOCRATICA - Chi erano quegli indignati e indottrinati ideologicamente che le sbraitavano contro, in quanto lei non aveva obbedito al riflesso condizionato antifascista del "fischio più applauso"? A svelare la loro identità è la stessa Concita: «Tutti spettatori democratici, naturalmente, tutti entusiasti dell'esperienza di partecipare a un "atto politico" di ribellione al fascista in scena e tutti pronti a urlare "si vergogni" chi non si comporta come pensano si debba, cioè come loro. Non è neppure la sinistra autoritaria. È meno, è niente. È il format dei talk di successo, è l'indignazione social trasferita nella vita. Un tribunale in servizio permanente tutto attorno a noi. La gogna democratica». Già, la gogna democratica. Quella che adotta i medesimi metodi, solo in forma più subdola e meno manesca (le mani sono usate solo per applaudire) dell'ideologia che si vorrebbe contestare. Quella che ti vieta di dissentire, di non seguire la corrente, di non cedere al conformismo dilagante, e ti impone non solo un unico (non) pensiero, ma anche azioni e gesti omologati (l'applauso tutti insieme, e se non lo fai sei derubricato a pecora nera). Un totalitarismo soft delle coscienze che mette al bando sia chi disapprova esplicitamente, chi sceglie di boicottare o di criticare lo spettacolo (a proposito, troviamo sbagliato l'appello censorio di Fratelli d'Italia al sindaco di Roma affinché «la programmazione dello spettacolo sia sospesa». Orsù, non mettiamo il bavaglio all'arte, foss' anche l'opera più odiosa, lasciamo che sia il pubblico a snobbare o sommergerla di fischi); sia chi, come Concita, era andato a teatro, solo per fare un'indagine «antropologica», cioè per assistere senza pregiudizi, non tifando né per una parte né per l'altra. Mai compagni, e la De Gregorio ora l'ha scoperto, non ammettono terzietà né sguardi imparziali: vedono tutto o rosso o nero. E, quando vedono nero, diventano rossi dalla rabbia. Al punto da insultare chi non agisce come vorrebbero. Per loro, cacciare dalla sala chi non fischia un fascista non è reato.