Palazzo Venezia
Dario Franceschini, assunzioni sospette. La Corte dei conti boccia il ministro, cosa non torna
Non sarà, magari, la Spectre della Cultura. Ma il fatto che l’Ales, la società esterna preferita nonché braccio armato del ministro Dario Franceschini venga tacciata di incostituzionalità e ritenuta «illegittima fonte di sprechi« da parte della Corte dei Conti, be’, vorrà pur dire qualcosa.
Siamo a un rinnovato deja vu istituzionale: l’Ales impazza e il ministero annuisce come sempre, anzi agevola. Stavolta però, con 11 paginette fitte fitte è intervenuta la Corte dei Conti laziale che ha deliberato un giudizio pesantissimo del Ministero della Cultura – giudizio ora avviato alle authority Antitrust e Anticorruzione- proprio sull’operato di Ales. La quale sostituisce il personale ministeriale, nel nome delle esternalizzazioni per garantire i servizi al Vittoriano e a Palazzo Venezia, due gioielli del patrimonio culturale italiano. Il punto è sempre lo stesso.
Le figure professionali utilizzate dalla Ales spa -partecipata di maggioranza, rilanciata e finanziata dal ministero nel corso degli anni- duplicano quelle già operanti ai Beni culturali, in nome di un regime d’emergenza oramai divenuto routinario (e utilizzato per saltare procedure e concorsi). Ma «il ricorso all’in house è utilmente evocabile nel caso in cui le attività oggetto di esternalizzazione non siano sovrapponibili a quelle che rappresentano il core business dell’amministrazione», spiegano i magistrati. Ma così non è.
Sicché Ales, cresciuta come un Hydra sotto la pelle dell’istituzione (dai 750 dipendenti del 2016 ai 1600 di oggi), si riproduce al riparo, appunto, dei concorsi pubblici previsti dalla Costituzione e dalle verifiche contabili. Ales, di fatto, per la Corte fa la concorrenza sleale allo stesso ministero per cui lavora. Per i magistrati non sta né in cielo né in terra che la società deroghi «agli obblighi di preventiva valutazione della congruità economica dell’offerta del soggetto in house imposti dal codice dei contratti pubblici». E sarebbe «incostituzionale» che si assuma personale di fatto pubblico, senza alcun tipo di concorso pubblico (art, 97 IV° comma Costituzione).
La delibera della magistratura di controllo recita che «appare del tutto evidente che il reiterato ricorso ai servizi resi dal personale impiegato da Ales, nel contesto di grave carenza di profili professionali amministrativi e contabili dell’Istituto, tende a rendere sempre più sottile il già labile confine tra i servizi di ‘supporto’ e lo svolgimento dell’ordinaria attività amministrativa». Cioè, di fatto, il ricorso alla società svuota le risorse statali stesse. Insiste la Corte: «Il procrastinarsi della situazione finisce con l’indebolire e depauperare ulteriormente la capacità amministrativa delle amministrazioni, senza intervenire strutturalmente, nel quadro dei principi costituzionali, sui sistemi di individuazione dei fabbisogni, pianificazione ed espletamento delle procedure di reclutamento, formazione/aggiornamento professionale e sviluppo delle carriere nel pubblico impiego». Ed è tranchant, la Corte, pure sul «rischio di discontinuità e dispersione delle conoscenze acquisite, oltre a non rispondere in modo stabile ai fabbisogni professionali del soggetto pubblico».
Poi c’è la questione della spesa per questi dipendenti “incostituzionali”: «Dalla documentazione trasmessa risulta, per la convenzione Ales, un costo totale annuale medio per persona di 66.325 euro, ben superiore, secondo la comune esperienza, a quelli annuali di profili ministeriali di area II e III (quasi il doppio, ndr)». Si alimenta, un soggetto privato con fondi pubblici e lo si paga più del necessario, in soldoni.
E, con questa spesa di oltre 1 milione di euro, maggiore rispetto all’assunzione ordinaria di dipendenti, viene a crearsi «un regime irragionevole di favore». Sicché, dopo il verdetto della Corte, ecco scattare, implacabile, documentata e puntuale la solita interrogazione parlamentare della senatrice del Gruppo misto Margherita Corrado: «Che fine fa il surplus di denaro incassato dalla società in house che, da documentazione, risulta pagare i suoi dipendenti circa un terzo di quanto incamerato? Torniamo a chiedere le dimissioni del ministro Franceschini, vero responsabile politico di questa situazione». Il quale ministro, ovviamente, osserva da lontano con quella sua ariaanacoretica appena tagliata da un mezzo sorriso.
Sospettiamo che l’interrogazione della tignosa Corrardo resterà nell’aria. In realtà la politica non ha interesse a smontare il baraccone Ales. Di Ales tornerà a occuparsi la stampa, tornerà all’attacco Striscia la notizia s’indigneranno tutti. Ma si lascerà correre. Come, di fatto, ha lasciato correre la Corte dei Conti del Lazio. Che, pur bombardando l’operato del Ministero, alla fine ha volto lo sguardo dall’altra parte e, indignata, l’ha ratificato (cosa che non aveva fatto con le nomine , per esempio, del ministro Giorgetti…). Mah.