Quel che non torna
Roman Abramovich, "il commerciante di giocattoli": l'enorme buco nero nel passato dell'oligarca
Roman Abramovich è diventato, seppur indirettamente, uno dei protagonisti dell'attacco russo in Ucraina. L'oligarca, che di recente ha deciso di vendere il Chelsea e donare il ricavato alle vittime della guerra, ha partecipato ai negoziati tra le delegazioni, su richiesta dell'Ucraina. Il milionario russo, che è anche amico di Putin, era "stato richiesto per aiutare nei colloqui".
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Intorno al suo personaggio ruotano due grandi misteri. Uno riguarda il passaggio dallo status di piccolo commerciante di giocattoli, che fu la sua prima attività imprenditoriale, a quello di assistente del potente oligarca Boris Berezovsky e indirettamente anche di Boris Eltsin, ex presidente russo. A tal proposito, Paolo Condò su Repubblica scrive: "Gira tutto attorno a un treno con 55 cisterne cariche di gasolio raffinato a Okhta, la città del nord dov’era cresciuto con lo zio Leib, che nell’inverno del ’92 scompare e poi riappare in un gioco di prestigio che lascia Roman molto più ricco".
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Il secondo mistero invece riguarda la sua presenza al Cremlino alla fine del 1999, mentre il giovane presidente Putin cercava di metter su un governo. "Il casting degli aspiranti ministri viene condotto da quello che all’epoca è un astuto petroliere - si legge nell'articolo di Repubblica - ma presto soppianterà a Mosca e anche a Londra il maestro
Berezovsky". Di lui, dopo ben 19 anni di successi alla guida del Chelsea, qualche dettaglio si conosce. Si sa, per esempio, che la famiglia paterna era di origine lituana, mentre la madre Irina era ucraina. La sua cerchia più stretta invece è composta da ebrei come lui. Anche per questo sarebbe stato richiesto al tavolo dei negoziati.