Nel mirino

Sigfrido Ranucci, sesso e soldi a Report: "La somma per avere il video hard? 15mila euro". Guai enormi: aperta un'indagine

Brunella Bolloli

Prima «il video era manipolato», poi era «una storia vecchia», «già archiviata», poi era tutto un «bluff». In tre giorni tre versioni diverse da parte di Sigfrido Ranucci, potentissimo conduttore di Report nonché vicedirettore di Rai3, pizzicato da una telecamera nascosta a trattare con alcuni interlocutori di filmati su politici, Servizi segreti e fatture, tanto poi paga la Rai. Adesso, e qui sta la notizia, non solo il video in questione, diffuso sul sito de Il Riformista, non è una bufala - come inizialmente il giornalista mirava a fare credere - ma sia la Corte dei Conti che il Copasir vogliono vederci chiaro. Un'indagine, infatti, è già stata aperta. Si tratta di un fascicolo istruttorio da parte della procura regionale della Corte dei Conti per il Lazio, guidata dal presidente Pio Silvestri. Al vaglio ci sono le presunte fatture fittizie della trasmissione ideata e portata al successo da Milena Gabanelli, la quale nel 2017 ha lasciato il timone al suo inviato Sigfrido.

 

 

IL PRANZO A TRASTEVERE - Il video trasmesso dal quotidiano di Sansonetti risale al 2014, dura in totale 65 minuti (non tutti rilevanti) e ritrae Ranucci in un ristorante di Roma con "informatori" che, in realtà, oltre ad informarlo e a raccontargli mezze verità o storie da film con annessi latitanti, pericolosi killer in arrivo e famiglie dell'ndrangheta pronte a tutto, hanno registrato ogni istante di quel pranzo. Ovviamente senza che Sigfrido si accorgesse di nulla. A lui, in quel momento, interessava raccogliere materiale per confezionare una puntata non certo elogiativa sull'amministrazione di Verona, targata Lega (allora il sindaco era il super votato Flavio Tosi). A fare credere a Ranucci di essere a conoscenza di certe infiltrazioni mafiose nel comune scaligero era Mauro Sicchiero, già militante leghista della corrente bossiana. Mentre chi ha registrato il pranzo è Sergio Borsato, imprenditore particolarmente noto allora nel mondo Lega anche come creatore dell'inno "Sali, Padania". Un altro dei soggetti che fanno credere a Ranucci di avere in mano scoop fenomenali è Mauro Giacobbo che gli viene presentato come autore di un filmino compromettente ai danni del sindaco e dunque ricattato dalla mafia.

 

 

Insomma, ci sono tutti gli ingredienti di una spystory di terz' ordine, che difficilmente sarebbe approdata sui canali della tv di Stato, ecco perché fanno discutere le parole pronunciate dal segugio di Report, il quale, tra una chiacchiera e l'altra, ha spiegato ai commensali le modalità con le quali avrebbero dovuto fargli avere il materiale "grezzo" che a lui interessava per montare una puntata, poi andata effettivamente in onda ad aprile 2014. Oltre all'aspetto criminalità, si è parlato anche di un presunto filmino compromettente che però non è mai esistito. Nel video pubblicato in due riprese da Il Riformista, emergono i discorsi del conduttore riguardanti presunte fatturazioni fittizie. E su queste la Corte dei Conti è chiamata a vigilare, visto che la Rai è un'azienda pubblica e, fra l'altro, c'è un magistrato delegato e un organo di controllo che deve verificare ogni singola spesa che esce dalle casse di viale Mazzini. In particolare, la somma "pattuita" per avere il filmino hard sarebbe stata 15mila euro.

 

 

CHIAMO IL CAPO... - Alle sue "fonti" che spiegano tutti i loro problemi, Ranucci replica con prontezza sostenendo che può chiamare il capo dei Ros che conosce personalmente. Millanterie? Questa sembra la sua difesa, adesso. Su cui però sia il Copasir che la Vigilanza Rai ha deciso di agire, in tempi rapidi. La Corte dei Conti, a sua volta, dovrà valutare se ci sono state spese non autorizzate e a quale scopo. In quanto ai dossier, Ranucci continua a difendersi tramite il suo avvocato Luca Tirapelle: «L'affaire Tosi è una questione morta e sepolta da anni», dice, «non ci fu alcuna fatturazione e si trattò di un "bluff" del conduttore».