A tu per tu
Carlo Signorelli su green pass e Covid: "Più del 50% dei morti uccisi da altri mali. Perché il certificato va abolito"
«Il Covid ha fatto impazzire tutti perché ha un'alta percentuale di contagiati non sintomatici e un lungo periodo di incubazione. Questo ne ha reso la gestione complicata. I presupposti scientifici del Green Pass sono mutati, visto che si è scoperto che anche gli immunizzati possono infettarsi e contagiare. E lo scontro sociale con i no vax non ha aiutato a far vaccinare le persone, anzi...». Diagnosi, terapia e convalescenza dalla pandemia del secolo secondo il professor Carlo Signorelli, ordinario di Igiene e Sanità Pubblica all'Università San Raffaele di Milano. Il professore non parla spesso, non ama il palcoscenico e ha un approccio clinico e non mediatico al virus. In particolare, non si presta a crociate, soprattutto per pragmatismo, «perché è controproducente vendere alle persone verità assolute, per convincerle a fare ciò che crediamo sia giusto, in quanto se poi si scopre che non è proprio tutto come si è detto, si perde credibilità». Non ama sbilanciarsi, Signorelli, «perché chi può dire che dietro l'angolo non ci aspetti una variante Covid più pericolosa di Omicron?».
Professore, per una volta azzardi: i contagi giornalieri sono diminuiti di quasi centomila unità in poco più di due settimane, abbiamo scollinato?
«Sì, abbiamo scollinato, lo vediamo non solo dai nostri numeri ma anche dall'andamento del virus nei Paesi che ci precedono di un paio di mesi. In tutto il mondo, dall'inizio della pandemia, le ondate si sono esaurite in dieci-dodici settimane. La quarta è durata un po' di più, vista la grande contagiosità di Omicron, ma adesso i dati ci fanno sperare: calano contagi, ricoveri ordinari e terapie intensive, questo significa che tra un po' diminuiranno anche i decessi; gli ospedali sono ancora sotto pressione ma tra qualche settimana torneremo ai duemila contagi al giorno di novembre».
Quanto è meno letale la variante Omicron rispetto a Delta?
«In Italia non tipizziamo tutti i contagi, ma considerato che Omicron ormai costituisce il 98% delle infezioni e valutando i dati inglesi, che invece sono molto precisi a riguardo, possiamo dire che i casi gravi sono un decimo rispetto alla variante precedente (delta) e la mortalità è molto più bassa, più che dimezzata».
I morti restano alti perché sbagliamo a contarli, classificando come da Covid anche i decessi avvenuti per altre malattie?
«È il modo suggerito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità: tutti i positivi morti si ritengono deceduti Covid anche se più del 50% di questi in realtà sono stati uccisi da altri mali».
Non dovremmo rivedere i calcoli?
«In realtà sarebbe corretto classificare tali decessi come un anticipo di mortalità legato al subentrare del Covid».
Anticipo di quanto, mesi, anni?
«Più spesso giorni o settimane. Si tratta per lo più di situazioni già terminali».
I vaccini hanno avuto un ruolo nel depotenziare il virus, portandolo dalla pericolosa Delta alla più leggera Omicron?
«È impossibile stabilire quanto il vaccino incida sulle varianti. Il virus mutava anche prima della profilassi. Quel che possiamo dire è che più gente è immunizzata, meno il virus gira, e quindi meno cambia. Ciò che possiamo affermare con certezza è che il vaccino ha evitato decine di migliaia di infezioni gravi e parecchi decessi».
Faremo la quarta dose?
«Secondo l'Agenzia Europea del Farmaco non sarà necessaria, ma è una considerazione fatta sull'esperienza di altre malattie infettive, non del Covid, sul quale gli effetti del vaccino sono osservati da soli tredici mesi. Oggi sappiamo che le due dosi ti proteggono per circa cinque mesi e che la terza non ti permette di non contagiarti ma ti fa affrontare la malattia in forme lievi. Vedremo quanto durerà la copertura e poi sapremo quando e se faremo la quarta. Comunque, penso sia ragionevole ipotizzare che la quarta iniezione possa essere suggerita, in autunno, alle categorie fragili, anziani e persone malate, su raccomandazione medica, magari contestualmente al vaccino anti -influenzale».
Per scongiurare una nuova ondata in autunno?
«Vediamo cosa accadrà tra un paio di mesi in Brasile e Australia, che vanno verso l'inverno, e potremo stimare che tipo di autunno avremo noi».
Questi vaccini non impediscono il contagio di Omicron mentre proteggevano di più da Delta. Significa che per essere immuni dopo l'estate servirà un nuovo tipo di vaccino?
«Non è detto, perché i vaccini in commercio coprono tutte le forme gravi delle numerose varianti che ci sono state finora. Se ne dovesse nascere una che sfugge agli attuali vaccini, sarebbe una tragedia. Certo, in una prospettiva a medio termine, si potrebbe pensare a un vaccino omnibus, per tutte le forme di coronavirus».
Cosa pensa delle recenti decisioni del governo: un allentamento delle restrizioni per i vaccinati e invece un ulteriore giro di vite per i non vaccinati?
«Mi pare che, da un anno a questa parte, le decisioni vengano prese sulla base di ragioni politiche più che tecnico-scientifiche».
Cosa pensa delle mascherine?
«All'aperto sono inutili, il rischio contagio è quasi nullo se non ci sono grandi assembramenti. Diciamo che fungono da monito, o comunque si vuole evitare che la gente le tenga in tasca e perciò diventino un ricettacolo di germi. Fosse per me, terrei solo le Fpp2 sui mezzi pubblici e in altri luoghi chiusi affollati».
E delle quarantene?
«Le quarantene sono utili quando la malattia è grave e il contagio è limitato ma in questa fase stiamo bloccando troppe persone e per troppo tempo. Le modalità di uscita dalla quarantena oggi sono complicate e lente. Sono d'accordo con gli sconti agli immunizzati: con tre dosi il rischio di contagiare è basso. Io penso che potremmo decidere di far uscire i positivi asintomatici, se tri-vaccinati; anche perché il maggior luogo di contagio è la casa. L'anno scorso oltre il 90% dei malati si è infettato tra le mura domestiche come abbiamo dimostrato in una nostra ricerca scientifica».
Quando potremmo, a livello di prevenzione, trattare il Covid come una normale influenza?
«Aspettiamo di aver osservato la prossima variante, sperando che non sia peggiore dell'attuale: allora potremmo fare il salto e occuparci e tenere in isolamento solo i sintomatici».
Cosa abbiamo sbagliato nella lotta al virus?
«Mentre nella prima ondata abbiamo agito tempestivamente e in maniera drastica con il lockdown dell'8 marzo 2020, evitando una strage ancora maggiore, stimata in 30-40 mila decessi, in seguito siamo quasi sempre intervenuti in ritardo e con timidezza, quindi con minore efficacia».
La lezione per la prossima volta?
«Non bisogna aspettare che la curva dei contagi arrivi al massimo per intervenire. Il Covid è veloce ma noi abbiamo agito lentamente, si è visto anche con le scuole: bisogna fare le regole prima di riaprire, non dopo, tanto si sa come funziona il contagio».
Sono stati fatti errori anche nella comunicazione?
«Bisogna essere semplici e non contraddittori per convincere la gente. Noi invece abbiamo assistito a norme poco comprensibili e verità che venivano smentite a stretto giro di posta. Questo ha creato sfiducia nei cittadini e molti dubbi ed esitazioni sulla profilassi. Anche perché, per convincere la gente a fare l'iniezione, sono state spacciate come verità assolute cose non verificate, funzionali solo a ottenere dai cittadini che facessero quel che voleva il governo. Ma è chiaro che poi, quando la realtà si incaricava puntualmente di smentire certi postulati, si ottiene l'effetto opposto e per far vaccinare le persone devi ricorrere all'obbligo diretto, ovvero indiretto come il Green Pass».
Lei non lo avrebbe fatto?
«I risultati del Green Pass sulla vaccinazione sono stati buoni inizialmente e più modesti ora perché nel frattempo si è dimostrato che i vaccinati si possono infettare».
Perché la campagna di vaccinazione è stata contaminata dall'ideologia?
«Più che altro per la confusione che l'ha accompagnata. Con il balletto su Astrazeneca si è partiti subito malissimo. La gente ha pensato: se neppure gli scienziati ci capiscono...».
Ma il Green Pass è giusto?
«Nasce sul presupposto scientifico che i vaccinati non contagiano e non si contagiano. Ma è stato dimostrato dai fatti che non è così. È caduto anche il presupposto tecnico, che era la spinta a vaccinare, perché i guariti non hanno bisogno di immunizzarsi e perciò gli devi dare il Green Pass comunque».
E quindi?
«Il certificato verde non ha cambiato funzione: garantisce maggiori condizioni di sicurezza ma non può basarsi sull'obbligo di vaccino, come si era pensato».
È d'accordo con la lotta dura e pura ai no vax?
«Il vaccino è stata la sola azione che ha contenuto l'epidemia. È una falsa illusione quella dei no vax, secondo i quali ci sono cure che avrebbero potuto scongiurare la pandemia. Sono stati solo i comportamenti attenti della gente e le iniezioni a fermare il virus. Purtroppo non ci sono terapie totalmente e universalmente efficaci: non lo era l'idrossiclorochina e non lo sono i monoclonali. A tutt' oggi, non c'è un farmaco di provata efficacia e questo ti impone di lavorare sui vaccini che fortunatamente ci sono».
Quindi guerra ai no vax?
«Circa l'un per cento della popolazione non è convertibile al vaccino. Lo si sapeva anche prima, vedendo quanti non vaccinano i propri figli. Quanto agli altri, i cosiddetti esitanti, più che il pugno di ferro, che li spaventa, li allontana e li compatta tra loro, si sarebbe dovuto lavorare in termini organizzativi, chiamarli a casa, parlargli e prenotare per loro l'iniezione...».
Il vaccino ha effetti collaterali?
«È un medicinale, non è acqua fresca. Chi dice che non c'è alcuna complicazione non è credibile e fa il gioco dei no vax. Come tutti i farmaci, il vaccino ha effetti avversi e benefici, ma i secondi sono nettamente superiori ai primi. Certo, più ci allontaniamo dalle fasce a rischio, anziani e malati, minori sono i benefici dell'iniezione».