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Covid, la rivoluzione di Francesco Vaia: "Positivi liberi senza test dopo 5 giorni. Omicron? Cosa sappiamo sulla letalità"

Pietro Senaldi

 Se il virus muta, le regole per contrastarlo - e per convincerci - devono mutare con lui. Così l'approccio della scienza e della politica. Quello che conta però non è cambiare per cambiare, ogni settimana, così da generare solo confusione, ma prendere una direzione chiara, spiegarla alla popolazione e agire di conseguenza. Senza restare prigionieri degli schemi di un anno fa, ma neppure di quelli tre mesi fa. E il posto dove andare a prendere le nuove ricette è sempre lo stesso, la frontiera degli ospedali, che da due anni hanno l'epidemia in casa tutti i giorni. Tre mesi fa, anniversario dell'inizio della seconda ondata, avevamo disturbato il professor Francesco Vaia, direttore dell'Istituto per le Malattie Infettive Spallanzani di Roma, per capire che inverno avremmo avuto. Lui ci aveva assicurato che «chi parlava di un Natale come quello del 2020 faceva dell'allarmismo gratuito e grave», e ci aveva azzeccato, come era stato profetico nel dire che il governo stava commettendo due errori, «descrivere il vaccino come una pozione magica e mostrarsi preoccupato più di quanto la situazione non necessiti». Oggi, con i contagiati che si contano a centinaia di migliaia al giorno, milioni di persone sane costrette a casa in quarantena e delle regole che sembrano fatte apposta per paralizzare il Paese oltre quanto richieda la situazione, torniamo a interpellarlo, per sapere se, senza polemiche di sorta, esiste una via alternativa a quella attuale per convivere con il Covid. «Le caratteristiche della pandemia Covid-19 nella fase attuale appaiono profondamente mutate, in relazione alla diffusione della variante Omicron di Sars-CoV-2 ma anche alla alta percentuale delle persone vaccinate nella popolazione. La variante Omicron ha una contagiosità più elevata delle precedenti, e questo spiega il rapido aumento del numero dei casi, un'incubazione generalmente più breve ma una gravità clinica ridotta, in particolare nelle persone vaccinate. La vaccinazione, seppure abbia un'efficacia ridotta nel prevenire il contagio da Omicron, conserva se completata da meno di quattro mesi o integrata con una dose booster, una elevata capacità di ridurre la gravità clinica dell'infezione». Questa la diagnosi del professore: «Non facciamoci spaventare dai numeri alti dei positivi ma guardiamo la bassa percentuale di casi gravi rispetto ai contagiati. E soprattutto, riconosciamo ai vaccini il ruolo chiave che hanno avuto nel contenere i decessi», è la sintesi brutale del luminare.

Professore, ma la variante Omicron è più moscia di suo o grazie ai vaccini?
«Questione di lana caprina, chi può dirlo con assoluta certezza? Razionalmente credo che sia una felice sintesi della profilassi di massa e della replicazione del virus, che per sopravvivere morde meno».

Secondo lei, alla luce di queste novità, i giorni e i criteri della quarantena andrebbero cambiati?
«Le politiche di mitigazione dell'impatto della pandemia non possono non tenere conto dello scenario mutato. Il mondo del lavoro e dei servizi è troppo sotto pressione a causa di regole su quarantena e isolamento non più giustificate dalla gravità del virus. Suggerisco di rivedere le indicazioni su quarantena e isolamento ispirandoci al modello degli Stati Uniti, da dove sono tornato di recente dopo un viaggio di lavoro».

In concreto, cosa dovremmo fare?
«Noi dobbiamo liberare l'economia e togliere pressione dai servizi. Abbiamo tanto sponsorizzato i vaccini, valorizziamoli. Pertanto, per quanto riguarda l'isolamento dei contagiati, bisogna consentire ai vaccinati con terza dose o con seconda da meno di quattro mesi di uscire di casa dopo cinque giorni dall'insorgenza dei sintomi, se stanno bene, e senza necessità di negativizzarsi con un tampone. Per quanto riguarda i non vaccinati o i vaccinati da oltre 120 giorni, l'isolamento andrebbe ridotto dagli attuali dieci a cinque giorni».

E per quanto riguarda la quarantena dei negativi che vivono con dei positivi?
«Nessuna quarantena per chi è in terza dose o in seconda da quattro mesi: come già previsto, escano di casa con la mascherina Ffp2, e dopo cinque giorni con quella normale. Per gli altri, riduzione della quarantena a cinque giorni, con la possibilità di interromperla se non ci sono sintomi e senza bisogno di sottoporsi a un tampone».

Il virus è cambiato ma la strategia anti-virus dei tecnici del governo non muta. Eccesso di prudenza, difficoltà di abbandonare le luci della ribalta e lo scettro del comando, scarsa esperienza ospedaliera?
«Penso che ci sia un certo conservatorismo che rallenta l'adattamento delle raccomandazioni all'evolversi della situazione. L'evoluzione della strategia di controllo dovrebbe rispondere sempre a quattro principi: 1- Mantenere in vigore solo misure in grado di limitare realmente l'impatto sulla salute della popolazione e sul sistema sanitario della diffusione di Covid-19; 2 Non imporre ai cittadini limitazioni che non siano più giustificate dalle attuali conoscenze scientifiche sulla variante di Sars CoV 2 prevalente; 3 - Raccomandare interventi che siano realmente sostenibili dai sistemi sanitari regionali; 4 - Non determinare conseguenze negative sociali o economiche nella popolazione che non siano controbilanciate da una attesa di significativi benefici di salute».

Chi muore oggi di Covid, i non vaccinati stroncanti dalla Delta e i vaccinati già in condizioni di salute precarie ultra ottantenni che morirebbero di influenza o di altro comunque?
«Sì, oggi continuano a morire persone non vaccinate e persone molto anziane o debilitate che però senza questa malattia, avrebbero ancora la possibilità di una buona vita».

È vero che si muore di Covid solo con Delta e che Omicron ha la stessa letalità di un'influenza normale?
«La esatta letalità di Omicron è ancora difficile da definire, in quanto abbiamo pochi dati, meno che meno è realizzabile un confronto con la letalità dell'influenza, è ancora prematuro. Sappiamo che Omicron ha un impatto clinico inferiore a Delta, tesi sostenuta anche da modelli patogenetici che indicano una minore affinità per i polmoni, e quindi una minore gravità. Tuttavia, non sappiamo quanto pesi su questi dati il fatto che Omicron è arrivata trovando una popolazione largamente vaccinata, anche in terza dose (che è fortemente protettiva su Omicron dalla malattia grave)».

Omicron in Italia all'80 per cento è una buona notizia?
«La buona notizia è che lo scenario di una evoluzione del virus verso forme meno aggressive è oggi più realistico».

Nell'ultimo mese ci saranno stati almeno quattro milioni di positivi, ma probabilmente anche il 50% in più e tremila morti. Di cosa ci stiamo preoccupando?
«In realtà nel mese di gennaio avremo più di tremila morti per Covid, e la cosa che ci preoccupa è il fatto che molte di queste morti si sarebbero potute evitare se tutti si fossero vaccinati».

C'è uno scontro in atto sul criterio con il quale calcolare i contagi: le Regioni chiedono che i positivi ricoverati per altre patologie non siano conteggiati, i tecnici del governo si oppongono. Lei cosa pensa?
«Mi sembra un dibattito un po' privo di senso. Il bollettino così fatto è una litania depressiva di cui le persone non hanno bisogno. Il conteggio quotidiano è irrilevante, conta la tendenza del periodo. La gente deve diventare alleata delle istituzioni, non esserne spaventata. Il problema è avere informazioni su quanto il Covid influisca sulla tenuta dei sistemi sanitari e sulla possibilità di curare le persone».

E qual è la tendenza del periodo, professore?
«Mi sembra che da qualche giorno l'epidemia non si stia espandendo. Il virus sta dimostrando caratteristiche stagionali sempre più marcate, quindi a febbraio i contagi cominceranno a scendere, i ricoveri in terapia intensiva lo stanno già facendo. Confido, anche se la vaccinazione continuerà, che quanto alla diffusione del Covid potremmo festeggiare una primavera anticipata».

Spesso si sente parlare di ospedali sull'orlo del collasso e di necessità di una stretta alle regole per evitare l'Apocalisse: qual è la reale situazione in corsia?
«Non abbiamo tanti malati ricoverati; anzi, le dirò che molti positivi sono ospedalizzati impropriamente, perché dovrebbero essere curati a casa. Abbiamo più positivi in ambulatorio che in reparto o in terapia intensiva, per tornare al tema della contabilità sollevato dalle Regioni. Quando si dice che gli ospedali sono pieni e si riempiranno ancora di più, si tradisce una visione ospedalo-centrica e poco attenta al territorio. Abbiamo fatto studi importanti per portare terapie innovative a casa delle persone, è ora di potenziare la medicina sul territorio, questo è il vero insegnamento dell'epidemia. Se abbiamo segnali del fatto che i ricoveri per Covid rendono difficile la cura di persone con altre malattie, allora dobbiamo intervenire per aumentare l'offerta assistenziale a casa e raffreddare la curva epidemica».

Nella nostra scorsa intervista lei sosteneva che sarebbe necessario un nuovo vaccino per disinnescare Omicron. A che punto siamo nella ricerca?
«Purtroppo si procede ancora con troppa lentezza, e probabilmente non avremo un vaccino nuovo se non tra 3-4 mesi. Dobbiamo ragionare come per il vaccino anti-influenzale, adattandolo più rapidamente al mutare del virus e anche continuare sulla strada della ricerca di vaccini che attacchino parti del virus meno soggette a mutazioni».

Andremo verso una dose l'anno, come contro l'influenza, o il virus anti-influenza diventerà quello anti-Covid?
«Credo che questo scenario sia oggi molto probabile, ma non penso che Covid farà scomparire l'influenza».

Abbiamo 200mila classi in didattica a distanza. Ha senso, visto che i ragazzi non muoiono e ormai neppure i genitori?
«È sbagliato pensare che la scuola è l'unica cosa che si può chiudere sempre, e non si capisce a cosa serva non far andare i ragazzi a scuola quando poi sono liberi di vedersi in un locale pubblico. I dati poi dimostrano che un ricorso indiscriminato alla didattica a distanza non ferma l'epidemia».

Tachipirina e vigile attesa: il Tar ha bocciato il protocollo di cura che il governo, su consiglio dei tecnici del ministero della Salute, segue da due anni. I soliti giudici che vogliono fare il lavoro degli altri?
«Non mi tiri in mezzo in polemiche politiche. Facciamo un ragionamento concreto. Tachipirina e vigile attesa sono dei presidi, ma dietro c'è un atteggiamento di scarsa conoscenza della malattia e non attenzione al territorio. La Tachipirina è un antipiretico, cura i sintomi non il male, e la vigile attesa trascura il ruolo della medicina del territorio».

Più di un anno fa, proprio su Libero, il professor Giuseppe Remuzzi dell'Istituto Mario Negri anticipava il modello alternativo a quello del governo che già usavano i medici bergamaschi: aspirina e cortisone, tutto da casa, in attiva terapia anziché vigile attesa...
«I tentativi di usare protocolli domiciliari si sono rivelati utili e non hanno fatto sentire le persone abbandonate a casa. Ribadisco, il futuro è nel potenziamento e nell'applicazione di protocolli domiciliari sempre più performanti».