Severo
Giovanni Minoli, bombe contro la Rai: "Chi sono i giornalisti irresponsabili", perché l'Italia è un Paese a rischio
Sa, Giovanni Minoli, un po' mi spiace.
«Per cosa?».
Di non poter iniziare quest'intervista chiedendole come si sta, in Rai, da presidente. E non mi dica che "era solo una provocazione" perché non le credo...
«Il presidente Rai lo avrei fatto volentieri: avrei potuto dare una mano di esperienza ad un amministratore delegato che veniva da altri lidi. L'attuale presidente Marinella Soldi ha però tali caratteristiche e vanta esperienze internazionali significative. Dunque forse, a conti fatti, non c'era bisogno di me...».
Quindi promuove il duo Fuortes - Soldi?
«È presto per dirlo: è una valutazione che si potrà fare solo più avanti. Mi sento comunque ottimista: Fuortes è un uomo di prodotto, oltre che di buona volontà, così come la Soldi. Magari questa è la volta buona e la Rai metterà finalmente al centro il prodotto, come vado suggerendo da anni. Lo so, la mia è la scoperta dell'acqua calda ma intanto nessuno ancora l'ha fatto in Rai».
Per ora i nuovi vertici hanno annunciato grandi tagli, come tutti i loro predecessori...
«Ecco, qui bisogna capirsi. Un conto è tagliare gli sprechi o il personale, ma se metti al centro il prodotto non puoi pensare di tagliare i budget: vorrebbe dire partire con il piede sbagliato».
Dovremmo prendere esempio dalle piattaforme streaming, per le quali non può esserci una grande tv senza alti budget?
«Di nuovo, stiamo parlando dell'acqua calda».
Lo so ma qui nessuno la fa "bollire" se è vero, come è vero, che il budget di RaiFiction è già stato decurtato.
«È tutto un problema di scelte ossia di dove si allocano le risorse. Fosse per me io addirittura aumenterei gli investimenti sul prodotto, in primis su quello seriale, che è uno dei pilastri della Rai».
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E cosa pensa della scelta di ridimensionare le edizioni notturne del Tg?
«Mah, non è che il tema mi appassioni particolarmente».
Ma come?!? Mezza stampa Rai è insorta!
«I giornalisti fanno casino a ragione qualche volta, quasi sempre a torto. Personalmente trovo che l'organizzazione dell'informazione sia sbagliata. Ormai, con l'avvento delle reti all news, i tg sono superati. Sa cosa farei? Fonderei Rai2, che è in crisi di ascolti, con RaiNews facendo un canale con 40' di news e 15' di approfondimento ogni ora».
Ma così di RaiDue non resterebbe nulla...
«Chi l'ha detto che debbano esserci tre reti generaliste? Mica è scritto nelle tavole di Mosè! Comunque il punto, come le dicevo, è un altro: è giunto il momento di una Rai-evoluzione. Bisogna dire, con chiarezza, cos' è il servizio pubblico e solo dopo, alla luce di questo, parlare di nomine, tagli e investimenti. Non si può pensare di fare una piano industriale senza aver prima definito un piano editoriale».
E cos'è il servizio pubblico?
«Devo proprio dirglielo?».
Insisto.
«Il servizio pubblico è il racconto delle radici del Paese. In un mondo globalizzato è l'identità a fare la differenza. L'errore della Rai è stato quello di puntare alla massimizzazione degli ascolti: un obiettivo che finisce per giustificare qualsiasi tipo di prodotto. La Rai invece dovrebbe puntare a distinguersi, scommettendo su format funzionali a raccontare l'identità italiana. Per dirla più semplicemente: la tv commerciale ha come utente il consumatore, mentre la tv pubblica parla al cittadino».
Per certi versi è più identitaria La7 della Rai?
«La7 è identitaria perché ha trasformato la tv in radio. Inoltre ricicla i giornalisti che non lavorano più. I giornali falliscono e le firme più brave vengono prese a fare i talk, insieme alla solita compagnia di giro di colleghi».
A gennaio Santoro arriva su La7: dalla sua espressione deduco che anche questo tema l'appassiona poco...
(Sorride)
Ottimo. C'è poi chi dice che Vespa potrebbe migrare a Mediaset. Non succede, ma se succede chi potrebbe colmare un tale vuoto?
«Mah, prima deve succedere. Nel caso qualcuno si trova. Se vuole sapere se io sarei a disposizione, le rispondo che se me lo chiedono in forma ufficiale glielo dirò».
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La prendo per un'auto candidatura?
«No, non mi interessa».
Poi com'è finita la querelle sui diritti de «La storia siamo noi»?
«Stiamo trattando con l'ad Fuortes. Sono fiducioso che si arrivi a un accordo perché, alla luce del rapporto che ho con la Rai, vorrei evitare di arrivare a un contenzioso».
Ha ragione Mentana quando sostiene che non è informazione fare confrontare un no vax con un luminare della scienza?
«Onestamente credo di sì. O meglio, ha senso invitare chi non parte da ideologie ma è in grado di confrontarsi con gli altri, argomentando nel merito: il confronto implica l'ascolto dell'altro, la disponibilità a mettersi in discussione. Inoltre bisogna considerare che la scienza non è una materia esatta: se invitiamo tutti gli esponenti delle varie posizioni, non ne usciamo più vivi. In tal senso sono stati lungimiranti i pediatri che hanno deciso di essere rappresentati da una voce sola».
Oggi le persone non si fidano più dell'informazione: per la prima volta si mette in discussione l'attendibilità stessa delle notizie. Come se ne esce?
«Io invece dico: finalmente! La responsabilità dei giornalisti non viene mai tirata in ballo, mentre è giusto che lo sia. L'avvocato Agnelli disse che Mieli aveva messo le minigonne alle notizie: ecco, questo ha portato alla dietrologia. Oggi il dietro le quinte, e il gossip, sono assurti allo status di notizie. A mio avviso i giornalisti hanno una responsabilità sia negli ospiti che invitano, sia nel loro stile di conduzione. Inoltre è fondamentale anche la preparazione dei conduttori: che studi hanno fatto? Dove hanno studiato?».
Mi sa che si salvano in pochi, eh?
«Già. Abbiamo massacrato i politici, poi i magistrati, ora tocca alla casta dei giornalisti sfaldarsi. Smettiamo di essere i cantori delle cose scontate o di parlare per sentito dire: al posto dei "si pensa che", "si dice che", iniziamo a fare nomi e cognomi. Se i giornali li leggono solo i familiari dei giornalisti e gli uffici stampa è perché sono fatti male o sono troppo autoreferenziali. Ma nessuno lo dice mai».
Però mi chiedo: se perdiamo fiducia in politici, magistrati, medici e giornalisti, cosa resta dell'idea di comunità?
«Viviamo in una comunità che ha sposato una cultura nichilista. Ora forse avremo Berlusconi Presidente della Repubblica e forse è giusto così: una sorta di giro della morte. D'altronde però, se la maggioranza lo vota, lui ha tutto il diritto di fare il Presidente».
Oggi chi comanda per davvero?
«La finanza, che non ha bisogno né di una buona informazione né di una buona democrazia. In passato era diverso perché i padroni delle aziende avevano bisogno degli operaie quindi il confronto sulle idee era necessario per costruire il consenso».
Quindi cosa prospetta per il futuro del Paese?
«Siamo molto a rischio: ci può essere un'esplosione improvvisa, come d'altronde ne abbiamo viste in passato».
Si riferisce a una possibile nuova fascinazione delle idee dittatoriali?
«No, semmai alla fascinazione della decisione: vorremmo un uomo che decida e che sappia farlo. Probabilmente si andrà verso una democrazia più "governante", con un Premier che abbia più potere».
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