Inadatto
Giuseppe Conte, il ritratto di uno sconfitto: dal "buco" nel curriculum ai disastri con Arcuri. Ecco chi è davvero
Dovrà trovarsi un lavoro adesso Giuseppe Conte. Fino a pochi mesi fa decideva le nostre vite, con i proclami a notte fonda su chi potevamo incontrare e dove era lecito spostarsi. I Dpcm, i codici Ate co, le zone a colori, l'autocertificazione. Ora è il nulla l'avvocato foggiano. Potrà fare un partito per conto proprio, e i soldi chi li mette? Potrà continuare a insegnare a Firenze, questo sì. Ma la sua carriera politica sembra agli sgoccioli. Arrivato dal nulla, con un curriculum taroccato sull'inglese, sparirà nel nulla?
Beppe Grillo ha sentenziato ieri che Giuseppi «non ha visione politica». In effetti non si era mai visto un signore che si dichiara «di sinistra» e poi va in Aula spalleggiato da Luigi Di Maio, all'epoca anti-Ue, e da Matteo Salvini, anti-Ue e anti -clandestini. In Parlamento si autonominò «avvocato del popolo». Fece da garante a un contratto, quello gialloverde, che in realtà piaceva a molti italiani. Durante quell'estate 2018 pareva che il Paese potesse cambiare davvero. Peccato che alla prima difficoltà, ovvero scrivere la Finanziaria, l'allora premier prese in giro gli italiani e l'Europa: vi ricordate quando sostituì il deficit al 2,4% (bocciato da Bruxelles) con il 2,04%? Come se la Commissione Ue fosse scema, come se i contribuenti fossero dei beoti. Conte si inimicò i vertici continentali per varare Quota 100 e il reddito di cittadinanza.
Le altre riforme previste nel contratto? Era tutto un «entro un mese la bozza», «entro una settimana ne parleremo», «entro un anno...». Fatti mai. Prendere tempo, ecco la qualità dell'allora premier. Ma un'altra sua caratteristica era ed è il camaleontismo: difese Salvini dall'inchiesta sulla Russia e sugli sbarchi. Salvo poi voltargli le spalle appena il Capitano decise di salutare la compagine gialloverde. Il capolavoro fu l'incontro con i cinesi comunisti. L'avvocato li ricevette in pompa magna a Roma e poi volò a Pechino per inaugurare la Via della Seta, facendo imbestialire gli americani. Conte però, opportunista e appunto camaleonte, è ripartito a razzo con i giallorossi. Per fare cosa? Comandare. Bearsi di essere il premier. Mostrare la pochette. Ergersi a riserva della repubblica. D'altronde abbandonando il cattivone leghista, la fanfara progressista aveva iniziato a incensare- complice il gran lavoro del fidato Rocco Casalino - l'ex avvocato del popolo. Guai a criticarlo.
Però i risultati non arrivavano, anzi l'influenza Dem aveva spinto Giuseppe a seminare tasse, salvo poi ritirarle pena la sconfitta del Pd in Emilia Romagna. Grillo ieri ha anche spiegato che Conte «non ha capacità manageriali». Certo, a fine gennaio 2020, dalla Gruber sentenziò: «La pandemia? Siamo prontissimi». Infatti, colto di sorpresa dal Covid, prima accusò l'ospedale di Codogno, poi affidò la gestione della macchina di protezione (mascherine, guanti) a Domenico Arcuri, l'uomo che sussurrava alle primule, ma che non ne ha imbroccata una, e infine accusò i giornalisti che fecero domande scomode a Bergamo, alle tre di notte. Ma d'altronde Conte impose i suoi diktat, con dirette improvvisate, a mezzanotte e dintorni. Incutendo il terrore con i suoi Dpcm e le sue auto certificazioni, che cambiavano ogni settimana.
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Sempre Grillo, sempre ieri, ha fatto sapere che Giuseppi non ha «capacità di innovazioni». Lo avevamo notato un'estate fa durante i famosi Stati generali a Villa Pamphili. Il "monarca" foggiano ospitò imprenditori, attori, cantanti. Una passerella che avrebbe dovuto portare idee nuove per far ripartire il Paese. Una settimana di parole, retroscena, foto: tutto inutile. Il premier era impegnato in altro: gettarsi a terra per avere il Recovery. Pur di raccontare che lui ha portato a casa più soldi di tutti, ha accettato condizioni capestro: si è impegnato ad aumentare il contributo italiano alla Ue. E fin lì... il problema è che il suo piano di riforme era un libro bianco, nel senso di vuoto. Talmente carico di niente che in Europa erano preoccupati: dobbiamo dare 209 miliardi a un signore che non sa come spenderli?
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Beppe Grillo ha infine sentenziato che Conte «non ha esperienza di organizzazioni». Due -tre esempi per dimostrare la veridicità di questa affermazione: 1) La sanatoria per i clandestini, che costò parecchie lacrime alla ministra Bellanova. Gli imprenditori agricoli si accontentavano di far arrivare gli stranieri che ogni anno vengono per la stagione. No, bisognava dare la possibilità a chiunque fosse per caso nel territorio italiano. Risultato finale? Un flop, evasa una domanda su 10, le altre su "Chi l'ha visto?". 2) I banchi a rotelle. Come far rientrare gli studenti in vista dell'autunno? Con dei "giostre", buone per fare l'autoscontro in classe. Ogni colpa ricadde sulla ministra Azzolina, però la faccia in una famosa conferenza stampa ce la mise il presidente del Consiglio. Per cui si autorizzò uno dei più grandi sprechi della storia repubblicana. 3) Le terapia intensive, queste sconosciute.
Roberto Speranza, titolare della Sanità, un anno fa si dedicò alla stesura di un libro mai nato. Ma al premier non venne l'idea che bisognava incrementare le rianimazioni. Così a novembre, tornammo tutti in quarantena. E a Natale ai domiciliari. Conte ha steso un Paese. Economicamente e psicologicamente. Voleva rassicurarci, stava per diventare il becchino dell'Italia. Grazie a Renzi ce ne siamo liberati. Però, se Grillo lo ritiene un «incapace» perché ci ha rifilato questo tarocco? Ma vaffa...
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