Il diplomatico
Sergio Romano avverte la Ue: "Perché era meglio Donald Trump di Joe Biden"
Joe Biden è in Europa per un tour de force di incontri ad alto livello: summit dei G7 in Cornovaglia, incontro con i vertici europei e Nato, faccia a faccia con Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan. In questi giorni il successore di Donald Trump getta le basi della politica estera del suo mandato. Abbiamo chiesto a Sergio Romano, ambasciatore e accademico, tra i massimi esperti di politica internazionale, di spiegarci come si sta muovendo la nuova Casa Bianca.
Da Trump a Biden è cambiato lo stile ola sostanza?
«C'è un cambiamento enorme: il presidente democratico ha detto che vuole ridare agli Stati Uniti la posizione centrale nella leadership mondiale che hanno avuto dal 1945 in poi. Trump no. E per questo preferivo il repubblicano».
Biden a parole sostiene l'unità europea ma nei fatti le mette i bastoni fra le ruote?
«Una leadership globale significa sempre sottrazione di potere ad altri soggetti, in particolare nel nostro caso all'Europa. Trump poteva risultare scontroso e talvolta volgare - a me era poco simpatico - ma la sua posizione contraria all'egemonia, al prendere decisioni per gli altri, era chiarissima. Biden, in modi stilisticamente migliori, vuole ristabilire la posizione centrale di Washington. È questo il vero significato del progetto dell'amministrazione democratica di restituire alla Nato il suo ruolo. Rilanciare l'alleanza atlantica ha un solo significato: alla politica di sicurezza globale ci pensiamo noi Stati Uniti, noi abbiamo il monopolio della forza e prendiamo le decisioni. Anche: noi proteggiamo i nostri alleati. Ma tutto questo è un intralcio all'integrazione europea».
Gli europei del G7 come la stanno prendendo?
«Alla Gran Bretagna tutto sommato va bene uno con le idee di Biden. Londra è ormai fuori dall'Unione e anche quando era dentro lo faceva a modo suo».
E la Francia?
«Macron si è speso a favore di una maggiore integrazione europea, anche a livello militare. Per questo ha persino usato parole durissime con la Nato che sarebbe in stato di "morte cerebrale". Parigi ha capito che può riconquistare una posizione importante nella politica mondiale solo ponendosi alla guida di una Europa unita».
E la Germania? Non ambisce alla stessa posizione?
«In questa fase dell'integrazione continentale convivono obiettivi nazionali e istanze sovranazionali. E sarà così ancora per un pezzo, purtroppo. La Germania non abbandonerà gli scopi della sua politica nazionale e per questo non vedrà mai di buon occhio, come non ha mai visto, una presenza militare americana troppo estesa in Europa. D'altra parte anche l'Ita lia ha le sue ambizioni e ha cercato di rinforzare il rapporto privilegiato con Washington nell'Incontro fra Draghi e Biden».
La solita Europa zoppa?
«La politica europea si muove su due piani in contraddizione: spinte nazionali da una parte, dall'altra movimenti centripeti anche sorprendenti. Quando la Germania di Angela Merkel ha accettato la mutualizzazione del debito - nel caso del piano Recovery and Resilience - dopo decenni di opposizione non si può non vedere una svolta importante».
La politica nazionale tedesca ci porta alla Russia, fornitrice di gas combustibili all'Europa e soprattutto a Berlino. Biden incontrerà anche Putin.
«Per la Russia è già una buona cosa che ci sia un summit. Il Cremlino, è presto detto, vorrebbe una Nato meno pressante nel Baltico e nell'Est europeo. Sente la presenza militare ai confini come obiettiva ostilità. Ma se Biden arriva a comprendere le preoccupazioni di Putin potrà esserci un netto miglioramento dei rapporti. Per ora, dal punto di vista russo è già un successo il parlarsi».
La Bielorussia sarà un motivo di scontro?
«Putin vuole ristabilire l'area di influenza sovietica. E Bielorussia e Ucraina, anche se in un futuro venissero assorbite dall'Unione europea, non saranno mai Paesi stranieri per i russi. Sono carne della loro stessa carne. Se l'Occidente lo capirà, bene. E ci sarà dialogo».
Pensa al futuro della Crimea?
«Dovranno passare almeno due o tre generazioni se non di più perché l'Occidente arrivi ad ammettere che quello è territorio russo. Al momento l'importante è che non si usi il caso Crimea per creare nuovi attriti, o co me fonte di dispetti. Ricordiamoci che Crusciov concesse la penisola a Kiev nel 1954 come quando un ricco industriale dà le chiavi della sua Ferrari a un dipendente perché si faccia un giretto».
Insomma, gli ucraini si sono scordati di restituirla... Il Mar Nero ci porta a un altro leader che vedrà Biden a breve: Recep Tayyip Erdogan.
«La Turchia è un bel problema, in parte simile alla Russia. Anche qui siamo di fronte a uno Stato erede di un più vasto impero che cerca di riconquistare l'egemonia su un'area circostante, magari una regione con caratteri e aspetti formali un po' diversi dall'Impero ottomano storico. Però devo dire che le mosse di Erdogan mi piacciono meno di quelle di Putin, per quanto bisogna ammettere che i Paesi su cui Ankara ha mire di controllo quando hanno cercato di fare da sé si sono dimostrati inaffidabili. Lasciarli fare potrebbe essere un errore».
Meglio l'egemonia di Erdogan?
«La Turchia è un paese serio».
In Libia però Ankara ci ha estromesso dal ruolo di maggior sostegno al governo di Tripoli.
«Non mi sembra che abbiamo fatto molto per tenere quella posizione».
Canada, Giappone, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Commissione Ue, Russia e Turchia. Biden vede tutti ma non i cinesi. Xi Jinping è il convitato di pietra di questi summit.
«C'è un altro aspetto della politica estera di Biden che non mi piace, oltre al rilancio della Nato: è quando spinge per creare una "lega delle democrazie". Non ne abbiamo bisogno. A che serve? A dire che Xi Jinping non è democratico? Obiettivamente mi sembra soltanto una mossa anticinese».
E il Covid-19? Il "China virus" secondo Trump?
«Abbiamo interesse noi europei a dare lezioni di democrazia ai cinesi? No. Biden non è Trump, e aggiungo per fortuna. Però non ammetterà mai che gli Stati Uniti hanno bisogno della Cina come avversario. Noi europei invece non ne abbiamo affatto necessità. Su questo, con Washington, non andiamo d'accordo. E attaccare Pechino sulla questione del contagio mi sembra la peggiore delle faccende».