Da Floris
DiMartedì, Ilaria Capua disperata: "Vi prego, se non ci fermiamo in autunno si ricomincia a chiudere"
Si fa il punto sulla pandemia da coronavirus e sui vaccini da Giovanni Floris a DiMartedì, su La7, nella puntata del 25 maggio. In collegamento c'è Ilaria Capua. "Siamo a buon punto per entrare nella zona bianca?", chiede il conduttore. E la virologa risponde: "Assolutamente sì, lo scudo (dei vaccini, ndr) sta funzionando, i numeri ci dicono che stiamo proteggendo la popolazione fragile". Quindi il disperato appello della virologa: "Vi prego, vi prego, usiamo i mesi che ci separano dall'autunno per vaccinare tutte le persone che ne hanno bisogno, per arrivare dappertutto. Vacciniamo tutte le persone fragili". Perché, conclude la Capua, "se non fermiamo questa catena in autunno si ricomincia a chiudere quindi per piacere, siamo quasi arrivati".
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In studio da Floris anche la biologa Barbara Gallavotti che prova a spiegare la questione dell'origine del coronavirus per evitare nuove pandemie in futuro: "Ancora non si è capito come il virus sia comparso a Wuhan. Ci sono sostanzialmente sul tavolo tre possibilità", dice la scienziata. "La prima è che qualcuno, venuto a contatto con un animale infetto, abbia iniziato a diffonderlo all'interno della sua comunità". La seconda ipotesi, prosegue la Gallavotti, "è che il salto di specie sia avvenuto in un‘altra parte dell’Asia, magari al sud della Cina dove si allevano animali selvatici destinati all'alimentazione. Quindi il virus sarebbe arrivato surgelato nella carne di uno di questi animali a Wuhan".
La terza ipotesi, continua la biologa, "chiama in causa il laboratorio di Wuhan dove si studiano virus estremamente pericolosi e che in teoria dovrebbe essere ad altissima sicurezza". Quindi, "il primo a infettarsi potrebbe essere stato uno dei ricercatori di quel laboratorio che era impegnato sul campo a raccogliere campioni di sangue e altri tessuti di animali selvatici. Si sarebbe potuto infettare direttamente se il virus fosse già stato pronto a fare un salto di specie in attesa della sua prima vittima oppure in seguito quando lo ha portato in laboratorio". In questo caso, spiega la Gallavotti, "il virus a contatto con le cellule su cui viene tenuto per replicarsi avrebbe imparato a diventare più pericoloso infettando poi qualcuno dei ricercatori del laboratorio e uscendo dal laboratorio stesso".