Sdeng

Paola Ferrari, bordata a Diletta Leotta: "Fai i soldi e goditeli. Al massimo come Belen Rodriguez..."

Paola Ferrari è il volto femminile del giornalismo sportivo. Una icona. E' stata la prima donna a condurre la Domenica Sportiva, dopo 42 anni di dittatura maschile, è stata la prima donna a presentare 90° minuto, prima donna a guidare Dribbling. Per quanto bellissima non ha mai dato peso al suo aspetto, al contrario ha lavorato duramente affinché nessuno potesse mai dire di essere arrivata, per così dire, dove arrivata se non per le sue qualità professionali. "Anche quando alla Domenica sportiva sfidavo la Casalegno su Pressing che si presentava con i vestitini trasparenti: godevo quando la battevo negli ascolti. Ma è un mio difetto, mi arrabbio e non so perché...", dice in una intervista a Il Giornale.

 

 

Un riferimento non troppo velato a Diletta Leotta. "Quando vedo queste ragazze che usano il corpo per diventare famose, mi arrabbio e sbaglio perché ognuno è libero di fare quello che gli pare. Io ho sempre considerato invece un affronto che qualcuno mi ascoltasse solo perché sono carina. Devo essere più zen", insiste. E non ha bisogno di darle consigli, anzi "è lei che deve darli a me: è ricchissima, famosissima, mica come me che ho fatto tanta fatica per così poco. Continui così, faccia un sacco di soldi e se li goda: lei però non può rappresentare le giornaliste italiane, come Anna Billò, Giorgia Rossi o Simona Rolandi. Lei può rappresentare solo se stessa. O forse Belen...".

 

 

E le bordate non finiscono qui. La Leotta sta di Dazn? "Alla guida di Dazn c' è una donna molto in gamba, molto bella e molto capace come Veronica Diquattro. Spero che con lei i modelli femminili possano cambiare".

Quindi ricorda di quella volta in cui Cabrini "mi venne a prendere sotto casa con la Ferrari, ma era solo amicizia come con Paolo Rossi che adoravo. Per me era inconcepibile avere love story con calciatori, avrei perso tutta la credibilità di giornalista che stavo costruendo con una fatica spaventosa". Quindi un altro aneddoto: "Era un derby. Chiesi a Capello perché aveva fatto giocare Weah che fisicamente non era a posto, mi rispose piccato: lei ha visto un' altra partita. Volevo morire. Ma lì ho capito che cominciavano a rispettarmi. Non era facile sopportare i sorrisi ironici di chi al campo ti vedeva come un' ochetta in cerca di gloria".