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Non è l'Arena, contratto sospeso ad Andrea Scanzi dopo il siluro di Massimo Giletti? Ecco cosa c'è dietro: clamoroso a La7
Vieni avanti, vaccino. Se non avesse attizzato una bufera mediatica francamente eccessiva, avremmo derubricato il caso Scanzi/Astrazeneca ad una banalissima furbata da italiano medio. Solo che Scanzi, che di solito si palesa come Sartre qui sembra Alberto Sordi. Il giornalista Andrea Scanzi durante uno dei suoi numerosi interventi su La7 Presentarsi come cargiver di genitori del tutto autonomi e infilarsi fischettando nella coda dei panchinari del Covid per ottenere la punturina in una manovra di basso cabotaggio etico, be', è "poco commendevole, meriterebbe soprattutto il silenzio", come scrive l'Aldo Grasso. Ma a Scanzi tutto s' attaglia, tranne il silenzio. E il fatto che il collega del Fatto, cedendo al suo narcisismo, abbia sbandierato ai quattro venti la sua vaccinazione, be', ha fatto alterare molti di quegli aventi diritto che attendono il vaccino da settimane (compresa mia suocera ultraottantenne cardiopatica che con Scanzi è incazzatissima). Ma insomma, le polemiche accese intorno alla vicenda sono comunque esagerate.
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Se però La7 ha ritenuto di dover sospendere il contratto di collaborazione di Scanzi, la cosa diventa una notizia. Così come è una notizia che Massimo Giletti su queste schermaglie ci abbia imbastito una puntata di rilevante ascolto di Non è l'Arena che sembrava un racconto di Sherlock Holmes; ed è una notizia pure che il solito renziano Michele Anzaldi, il giustiziere della notte della televisione italiana, continui a inondare di interpellanze il servizio pubblico ("Si riunisca subito il Comitato per il Codice Etico Rai e risponda in modo netto e definitivo: è accettabile che l'opinionista continui ad essere pagato dalla Rai?") senza che il servizio pubblico gli risponda. Il tema qui, però, non è tanto la ricerca della verità giornalistica.
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Non importa se la lista dei "riservisti nei quali Scanzi sarebbe stato inserito è stata istituita venti giorni dopo di quando lui dichiara di essersi iscritto" come dicono i detrattori; o se i responsabili Asl di Arezzo che lo smentiscono sul vaccino siano gli stessi che prima ne confermavano la correttezza; o se "la vaccinazione è limitata ad alcune categorie: scuola, personale delle forze armate e delle forze dell'ordine, persone tra i 70 anni compiuti e gli 80 da fare", e Scanzi non era fra queste come affermano i sanitari; o se Scanzi abbia invece mandato davvero dei messaggi rassicuranti ai suoi milioni di fan sull'efficacia del vaccino stesso con slancio umanitario. Il tema vero non è chi ha ragione. Il tema vero è che Scanzi vive, in questi giorni, un trapasso. I suoi fan proliferano, da sempre, sul suo modo assertivo di vedere la vita un po' -anche legittimamente- da maître à penser. Scanzi, nel bene e nel male è, per i suoi, un modello comportamentale.
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Nei libri, in tv, soprattutto sui social, si pone in versione quasi oracolare, un cavaliere senza macchia: spiega la differenza fra il giusto e lo sbagliato, tra l'etico e l'anetico, tra il Covid che «non succede una sega nel 99,7%» e il Covid che uccide, tra i furbetti del cavillo e i rispettosi delle leggi. Naturalmente appare strumentale la citazione del padre Luciano Scanzi che attacca De Luca e "tutti gli altri variopinti furbetti, se è vero che un terzo delle vaccinazioni sono toccate a gentaglia che non ne aveva diritto ma che è riuscita a imbucarsi al posto di quelli che ce l'avrebbero avuto" estrapolata dopo che il figlio s' è imbucato davvero (mentre altri suoi colleghi come Peter Gomez affermano che si sarebbero comportati "diversamente"). Eppure, alla fine, in tutto questo tripudio di comunicazione, la sensazione dell'incoerenza fa sì che in molti, a Scanzi, non perdonino un inciampo ancorché banalotto.