A tu per tu

Carlo Nordio su Mario Draghi: "La magistratura non indagherebbe mai contro di lui, il consenso crescerebbe"

Fausto Carioti

Da Carlo Nordio, ex pm e giurista di cultura anglosassone (una mosca bianca, in Italia), solo un avvertimento, quasi una preghiera a Marta Cartabia e Mario Draghi: niente «compromessi pasticciati» sulla giustizia. La maggioranza è quella che è, la componente «giacobina» al suo interno è molto forte ed è meglio fare poche cose, e farle nel modo corretto, piuttosto che puntare a grandi riforme delle quali, poi, ci si debba pentire. Bene, quindi, ridurre i tempi della giustizia civile. Ottima l'idea del premier di intervenire sulle norme che incutono nei pubblici amministratori la «paura della firma» sui contratti d'appalto. Doveroso riformare la «mostruosa» prescrizione di Alfonso Bonafede. Per tutto il resto, però, si possono anche attendere altri tempi e un altro parlamento.

Dottor Nordio, il ministro su cui c'è più attenzione è Marta Cartabia. Del resto, il precedente governo è caduto proprio sulla giustizia. E la maggioranza è variopinta come sappiamo. Lei cosa si attende dal guardasigilli? Una grande riforma degna di questo nome o qualche semplice pezza messa qua e là, perché un intervento più impegnativo rischia di far saltare la coalizione?
«Come ex magistrato dovrei ritenere la giustizia l'argomento più importante. Ma da cittadino credo che, in questo momento, la precedenza debba esser data alla sanità, con l'acquisizione e la distribuzione dei vaccini, e all'economia, su cui Mario Draghi non ha certo bisogno di consigli. Se poi c'è spazio per riformare come si deve la nostra sgangherata giustizia, tanto meglio».

Iniziando da dove?
«La priorità va data alla riforma della giustizia civile, perché i suoi ritardi incidono gravemente sull'economia e gli investimenti. Riuscire a ridurre i tempi delle cause civili sarebbe già un gran risultato».

Niente riforma della giustizia penale?
«Certo che mi piacerebbe una riforma radicale della giustizia penale. Almeno per ora, però, non credo ci siano le condizioni politiche. Troppo divisiva».

Sulla prescrizione bisognerà intervenire comunque. Il grillino Alfonso Bonafede l'ha cancellata dopo il primo grado, creando quella che lei chiama «una mostruosità». La Cartabia non pare intenzionata a fare rivoluzioni ed è apparsa subito molto prudente sull'argomento. Troppo?
«La riforma della prescrizione era e rimane un mostro giuridico da eliminare tout court. Ma farlo oggi costituirebbe un'umiliazione cocente per i grillini e anche per il Pd. Insomma, capisco la prudenza del ministro. Rischierebbe di far saltare tutto il governo prima ancora di cominciare».

Maggioranza e ministro si sono dati tempo sino al 29 marzo per intervenire sulla riforma del processo penale e della prescrizione. Il Pd propone «un limite massimo di durata per ciascuna fase del processo, oltre il quale non si può andare». Può essere questa la soluzione?
«No, sarebbe l'ennesimo pasticcio. L'attuale codice Vassalli è stato così snaturato, demolito e imbastardito che ormai è un mostriciattolo da sopprimere, perché nessuno ci capisce più nulla. Va riscritto completamente, recuperando l'originale disegno di un rito accusatorio e liberale».

Missione impossibile, con questa maggioranza e con questi tempi.
«L'idea che si possa farlo entro uno o due mesi è metafisica, non si concluderebbe nulla. Se poi si crede di abbreviare i processi per decreto, e non incidendo sulle strutture e le risorse della giustizia, siamo davvero nell'aspirazione virtuale».

Si attende una riforma della prescrizione e del processo scritta direttamente dal ministro, alla fine?
«Non lo so. Ma conoscendo la sua grande competenza, spero e credo che non intenda scendere a compromessi pasticciati».

Draghi si è scelto un nemico: le regole «complesse, incomplete e contraddittorie» che scaricano «responsabilità sproporzionate» su dirigenti e amministratori pubblici, spingendoli a non sottoscrivere i contratti di appalto per le opere piccole e grandi, poiché il rischio di finire indagati è alto. È un tema su cui lei insiste da tempo, chiedendo di ridurre e semplificare le norme.
«Mi rallegro che Draghi abbia indicato un simile rimedio, perché lo predico da oltre vent' anni: individuare le competenze, semplificare le procedure, eliminare le tante leggi inutili e contraddittorie che costituiscono l'arsenale dove il potenziale corrotto si sceglie le armi per vessare il cittadino o venire con lui a patti scellerati».

Abolire il reato di abuso d'ufficio può essere il primo tassello?
«L'abolizione del reato di abuso d'ufficio, e magari di quello di traffico di influenze e della stessa legge Severino, dovrebbe essere il primo passo per ridare dignità e certezza alla pubblica amministrazione e alla stessa politica. Anche qui, però, vedo già le petulanti litanie di chi crede che la corruzione e la "mala gestio" pubblica vadano combattute con la forca e la galera, che in realtà sono assolutamente inefficaci».

Intanto 67 giudici e pm avvertono Sergio Mattarella che nei tribunali e nelle procure «lo scandalo continua a imperversare». Un mese dopo l'uscita del libro-denuncia di Luca Palamara, infatti, nulla è cambiato. Chiedono una seria riforma del sistema di autogoverno dei magistrati, che il parlamento non è stato in grado di abbozzare in tre anni.
«Nulla è cambiato né potrà cambiare se aspettiamo che siano i magistrati o il Csm a far luce su queste vicende, per ovvie ragioni di conflitto di interessi. Per questo, come suggerito dai Radicali, auspico una Commissione parlamentare, per la cui istituzione esiste già un disegno di legge in parlamento. Il governo da solo non potrà far molto, perché non ne ha i poteri e nemmeno la forza, visto che nel suo ambito la componente giacobina è forte, se non maggioritaria».

I suoi 67 colleghi propongono innanzitutto la selezione dei componenti del Consiglio superiore della magistratura tramite elezione di un numero predeterminato di candidati estratti a sorte. Può essere una soluzione?
«Sono stato favorevolmente stupito da questa iniziativa. Poiché io auspico il sorteggio da sempre, e sono stato considerato a dir poco un eretico, mi rallegro che oggi anche molti colleghi, unitamente ad altri illustri giuristi, la pensino così. Il sorteggio tuttavia non è previsto dalla Costituzione, e associarlo a un'elezione di primo o secondo grado potrebbe superare il problema. Ma temo che anche qui le resistenze saranno enormi».

Un premier di statura internazionale, capace in passato di tenere testa ai vertici della Bundesbank, non ha la forza per passare sopra alle resistenze corporative delle toghe?
«In tempi normali un governo con un capo così autorevole potrebbe anche farcela, ma occupato com' è per il Covid e l'economia, non so se se la senta di rischiare». L'altra proposta dei 67 è la rotazione delle cariche direttive e semi-direttive, ritenuta «l'antidoto più efficace contro la degenerazione correntizia».

È una terapia giusta?
«Forse è un elemento di correzione, ma non è quello essenziale. L'essenziale è rompere il vincolo di favori tra elettore ed eletto, e il sorteggio è l'unico modo».

Abbiamo parlato delle divisioni nella maggioranza. Forse, Draghi e i suoi ministri dovrebbe temere di più i metodi intimidatori con cui molte procure difendono lo status quo. Sinora, chi ha provato a riformare sul serio la giustizia l'ha pagata cara. È un rischio che corre anche Draghi?
«Draghi in quanto tale non corre alcun rischio, perché è così al di sopra di ogni sospetto che un'iniziativa giudiziaria contro di lui sarebbe un boomerang, ne aumenterebbe addirittura la popolarità e accentuerebbe il già notevole discredito della magistratura. Il pericolo c'è, ma è un altro».

Quale?
«Che una sapiente combinazione di notizie fatte filtrare da qualche procura, magari attraverso intercettazioni di terzi, ed enfatizzata da qualche giornale compiacente, possa iniziare un martellamento che infastidisca il primo ministro, non abituato a queste subdole aggressioni del circolo mediatico-giudiziario che hanno già fatto tante vittime».