Nel mirino

Marzio Carrara, l'imprenditore trascinato nel fango per il caso dei commercialisti della Lega: "Non so nulla, tutto ciò mi fa male"

Caterina Spinelli

Guai essere imprenditori in Italia. Lo sa bene Marzio Carrara il cui nome – nonostante non sia indagato – è finito dentro le vicende che riguardano i presunti fondi occulti della Lega. “Io con il partito non c’entro niente – ha tenuto a precisare -, mi sono semplicemente limitato al mio lavoro”.  

E allora lei, leader nella tipografia con la sua Boost Spa, come è finito in mezzo a tutto questo?
“Tutte le persone che hanno lavorato per il partito sono state tirate in mezzo. Io faccio lo stampatore nella vita e ho lavorato per la Lega e per altri partiti fornendo i miei servizi. Nulla di più”.

Ma conosceva anche Alberto Di Rubba, uno dei tre commercialisti arrestati nell’affare del capannone rifilato, secondo la procura di Milano, alla Lombardia Film Commission a prezzo doppio rispetto al suo valore?
“Sì, nel 2017 ho iniziato con lui la mia collaborazione quando ho acquisito una società di nome Johnson del gruppo Arti Grafiche. Lui era il mio consulente, mi è servito da supporto nella ristrutturazione della società”.


Nel mirino ci sono finiti anche i fatidici 29 milioni definiti di “oscura provenienza” e relativi alla vendita del Gruppo Arti Grafiche.
“Quei soldi non sono altro che figli di una vendita. Ho comprato un’azienda da una multinazionale tedesca ed è stata rivenduta al gruppo italiano leader indiscusso di settore. Insomma un’operazione finanziaria”.


E sull’Immobiliare Mediterranea?
“Io avevo una casa in Sardegna che poi ho venduto ad un mio fornitore per le manutenzioni, Francesco Barachetti. È stato addirittura detto che sono stati usati i soldi del 2 per mille della Lega per pagare quella casa”.


E invece non è vero?
“No, ho addirittura la documentazione che attesta che i primi 300 mila euro sono stati incassati nel 2017 quando il partito non era neanche al governo. I restanti 20/30 mila euro, invece, nel 2018 con il conguaglio”.


A lei è stato anche addossato un fondo ai Caraibi.
“Questa poi è bella. Nel 2018 ho comprato la società Lebit, proprietaria della società Lediberg nonché concorrente della Johnson, perché il mio progetto era unire i due concorrenti. Da lì nasce la Boost, dall’unione delle due storiche rivali nel mondo del calendar and diaries, la Lediberg e la Arti Grafiche Johnson. Ho comprato la Lebit per 6 milioni di euro da un fondo con sede a Curacao (ovvero ai Caraibi) di nome Iris Capital, a sua volta proprietario della Lediberg. Questi ultimi sono arrivati a Bergamo nel 2013 mentre io ho acquisito la Lediberg solo nel 2018. Al passaggio delle azioni ho trasferito il denaro non ai Caraibi, anche se non ci sarebbe stato nulla di male visto che la proprietà delle azioni è di quel fondo lì. No, io ho chiesto allo studio legale dei venditori di aprire un conto corrente italiano dedicato all’operazione. Su detto conto ho pagato il prezzo di 6 milioni contestualmente alla girata delle azioni. I miei soldi dunque sono stati pagati in Italia. Ci sono atti che dimostrano che il fondo non era di mia proprietà”.


Immagino che tutto questo abbia avuto delle ripercussioni.
“Nella mia vita ho studiato poco e lavorato molto. La mia famiglia fa impresa da quarant’anni e tutto questo mi fa male, mi fa passare la voglia di alzarmi la mattina. Se avessi sbagliato, pagherei, ma non è così. Già la situazione aziendale è difficile visto che il periodo che attraversiamo, più si va ad aggiungere tutto questo. Ho sempre pagato tante tasse e oggi vengo buttato in mezzo a una schifezza. Ho il morale molto basso”.


Con chi ce l’ha?
“Potrei avercela con tutti e con nessuno. Anche con me stesso che non ho valutato che con alcune persone si potesse arrivare a tanto. Tutte le persone che hanno lavorato con Di Rubba lo hanno sempre apprezzato perché è un gran lavoratore, ma se fosse vero quello che ha fatto, ho conosciuto un’altra persona. Io di quelle menate come la Film Commission non so nulla. D’ora in poi con i partiti politici e persone ad essi collegate non voglio più lavorare. Non ho nemmeno mai avuto e non avrò mai una tessera politica”. 

Cosa le fa più male di tutta questa vicenda?
“La superficialità nello scrivere delle cose che creano dei danni immensi, è una follia. Oggi devi solo subire ed è veramente triste lavorare in un Paese che compromette chi lavora”.