direttore mario negri
Coronavirus, Giuseppe Remuzzi e la nuova frontiera del contagio: occhio alla "sovradispersione"
A marzo era stato tra i primi a lanciare il grido d'allarme, a spiegare che la situazione sanitaria non era più sotto controllo e che al pronto soccorso di Bergamo stava accadendo qualcosa di enorme, arrivavano quasi solo pazienti in condizioni serie con «polmoniti che si aggravano giorno dopo giorno». A maggio, invece, da quello stesso osservatorio "privilegiato" - anticipando ciò che poi sarebbe apparso evidente al mondo - aveva parlato di «una malattia meno grave senza che il virus fosse mutato», di contagiati che si presentavano in ospedale con sintomi talmente lievi da non rendere necessaria l'ospedalizzazione... Il tutto guardandosi bene dal definire "morta" l'epidemia e dall'invitare i cittadini ad abbassare la guardia, anzi. E anche oggi Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, non si unisce né al coro dei catastrofisti né a quello dei "permissivisti", ma si chiede che senso abbia chiudere teatri, cinema, palestre e piscine quando è dimostrato che «il Covid si trasmette soprattutto tra le mura domestiche», così come si interroga sul rischio che in alcuni casi «il rimedio possa essere peggio del male» visto che la serrata alle 18 di bar, pub, gelaterie e ristoranti penalizza circa un milione di lavoratori. Sempre fedele al suo mantra che parte dall'uso della mascherina, arriva al distanziamento e al lavaggio delle mani. «Il rispetto di queste semplici regole - non si stanca mai di spiegare - sarebbe sufficiente a invertire la curva dei contagi».
Professore siamo ritornati a marzo?
«Le differenze stanno nei numeri. A marzo venivano effettuati pochi tamponi ma c'erano tanti infetti e quasi 33.000 malati in ospedale. Oggi si è superata anche la soglia dei 180 mila tamponi giornalieri e abbiamo 13 mila persone in ospedale. Se poi consideriamo i ricoveri in terapia intensiva, si va dai quasi 4.000 del 3 aprile ai 435 di fine maggio per risalire e arrivare ai 1.284 ricoveri di lunedì. Teniamo presente, come ho sempre detto anche in passato, che questa analisi si riferisce al momento in cui sto parlando, le cose fra due settimane potrebbero cambiare completamente».
Che differenza c'è tra i pazienti che arrivano al pronto soccorso oggi rispetto a quelli di 6 mesi fa?
«Oggi insieme ad ammalati indubbiamente gravi arrivano anche persone con pochi sintomi che non avrebbero bisogno dell'ospedale. Non solo, spesso chi si ricovera ha una malattia insorta da pochi giorni, quindi più facile da curare. Rispetto a marzo, gli studi più recenti concordano sul fatto che la mortalità ospedaliera sia ridotta e lo è dappertutto, anche negli Stati Uniti e persino fra i pazienti più anziani».
Di fronte alla fase due, il governo prima "ha confuso" le acque con Dpcm "vuoti" e poi ha imposto una stretta che sembra preparare il terreno a un secondo lockdown. È d'accordo?
«Non sono sicuro che ci sia un rapporto tra provvedimenti più o meno light e diffusione dell'infezione. I provvedimenti dovrebbero essere indirizzati a proteggere i più fragili (persone sopra i 70 anni specie se con altre patologie) e a scoraggiare comportamenti che oggi sappiamo essere fonti di contagio. C'è un dato appena pubblicato su Science: la malattia si trasmette soprattutto tra le mura domestiche, dove si è comunque vicini l'uno all'altro, la trasmissione si riduce man mano che aumenta lo spazio tra gli individui e il rischio relativo di contagio in comunità come ristoranti e supermercati non è ancora stato stabilito con certezza».
Eppure sono stati chiusi teatri e piscine?
«Cultura (teatro e cinema) e attività sportive (palestre e piscine) fatte in sicurezza non mi pare debbano essere negate. Ma c'è un principio generale che va tenuto presente, e che forse è ancora più importante dei provvedimenti: questo virus non si propaga né con l'acqua né con gli alimenti; se tutti imparassero a prendere le precauzioni giuste - distanziamento, mascherina e il lavarsi le mani - tutto questo basterebbe per evitare la stragrande maggioranza delle infezioni. Può darsi però che i provvedimenti presi dal governo siano una forma di lockdown fatta senza esplicitarlo, se non si può fare nulla nessuno esce di casa».
Per adesso siamo al coprifuoco... «Che brutto termine coprifuoco! È come se fossimo in guerra: non lo siamo e dovremmo tutti abbandonare immagini come: "trincea", "prima linea", "battaglia", "caduti" e cose del genere; sono espressioni che spaventano ma a mio parere i cittadini non vanno spaventati ma coinvolti in comportamenti virtuosi che finiranno per essere quelli più efficaci. Chissà, forse chiudere alle 18 serve per aiutare la gente a prestare attenzione a ciò che ciascuno può fare per proteggersi e per proteggere gli altri. È importante comunque non dimenticare che chiudere tutto dalle 18 penalizza categorie di lavoratori - che se non sbaglio mi sembra siano almeno un milione - che devono pur poter vivere. "Attenzione a non fare che i rimedi siano peggio del male" scrivono i medici belgi in un documento recente. Condivido. Se poi le misure prese in questi giorni serviranno davvero a fermare l'epidemia lo vedremo tra 15-20 giorni e sarebbe una gran cosa».
Se fosse al governo quale sarebbe la priorità? Quale provvedimento prenderebbe immediatamente, da domani?
«Non succederà, ma se posso dare un mio piccolo suggerimento chiederei di dedicare gli ospedali di più piccole dimensioni - che oggi sono sotto utilizzati - a pazienti Covid non gravi che non possono stare a casa perché lì non sarebbero assistiti abbastanza ma non sono nemmeno così gravi da essere ricoverati nei grandi ospedali. Parlo di strutture già dotate di medici e infermieri che possono imparare in pochissimo tempo ad assistere gli ammalati di Covid non gravi e a cui si possono affiancare i giovani medici che hanno appena superato l'esame di ammissione alla specialità».
Professore secondo lei il nostro sistema sanitario in questo momento ha bisogno dei soldi del Mes?
«Certamente».
Un grande tema di divisione è la capacità degli asintomatici di trasmettere il virus. Lei cosa ne pensa?
«Delle persone positive al tampone il 95% non ha sintomi ("a-sintomatici", appunto) si tratta di persone che sono venute in contatto col virus ma non è detto che siano capaci di trasmetterlo ad altri. Ci sono asintomatici che non diffondono il virus, e altri che ne diffondono moltissimo... La variabilità della diffusione dell'infezione da una persona all'altra è impressionante, su 10 persone per esempio 9 non passeranno il virus a nessuno mentre il decimo potrebbe infettare fino a 20 persone».
I cosiddetti superdiffusori?
«Appunto. La letteratura più recente dice che il 20% delle infezioni è causato dal 2% delle persone, ma c'è anche un altro fenomeno che si chiama "overdispersion" ed è stato descritto dai ricercatori di Baltimora in uno studio pubblicato su Science tre giorni fa, secondo il quale esiste un grande numero di persone che non trasmette il virus a nessuno mentre il 10% di infetti è responsabile dell'80% dei contagi. Insomma, si tratta di una materia estremamente complessa, nessuno degli studi in questo campo può ritenersi definitivo. Si sente dire che gli scienziati sono divisi, la verità è che quello che non sappiamo è così tanto che è impossibile avere le idee chiare».
Professore ci dia una speranza. È credibile che le prime dosi di vaccino possano arrivare per fine anno?
«Per fortuna ce ne sarà più di uno, ma ci vorranno ancora molti mesi perché possano essere disponibili per tutti quelli che ne hanno più bisogno. Va detto però che nessun vaccino sarà sicuro al 100%, efficace al 100% e disponibile per tutti quelli che ne avranno bisogno (e non ci siamo solo noi, c'è anche chi vive in paesi più poveri)».
Si riferisce agli anziani?
«Teniamo presente che in quella che chiamiamo "fase tre" i vaccini sono testati su migliaia di volontari sani e giovani, ma chi ne avrà più bisogno sono appunto gli anziani che non si sa come potranno rispondere al vaccino perché il nostro sistema immune con l'età si indebolisce. E qui c'è una buona notizia anche se preliminare e non pubblicata: il vaccino di Oxford-Astra Zeneca ha dimostrato di saper produrre una risposta immune in persone sopra i 55 anni. È incoraggiante, vedremo se sarà confermato e se sarà vero anche per altri vaccini. Comunque non sarà il vaccino da solo a farci ritornare alla vita di prima, le precauzioni saranno necessarie anche dopo e per molto tempo».