Il re della moda

Giorgio Armani, la lezione sulla crisi: "Troppi si approfittano del coronavirus"

Daniela Mastromattei

«Il tiro peggiore che la fortuna possa giocare a un uomo (o a una donna) intelligente è metterlo alle dipendenze di uno sciocco», direbbe Giacomo Casanova. Un rischio che Giorgio Armani non ha mai voluto correre, consapevole del suo talento da quel lontano 1974, quando ha creato il suo marchio personale. Una sensibilità e un fiuto sopraffino che gli hanno permesso nel corso degli anni scelte giudiziose e sempre azzeccate. Non a caso lo stilista di Piacenza, milanese di adozione, è stato il primo tra i suoi colleghi a riconoscere la gravità del Coronavirus, nonostante i tanti negazionisti, e a decidere di sfilare a porte chiuse già lo scorso febbraio.

E mentre i maligni lo accusavano di aver fatto una scelta dettata dalla paura, lui, forte del suo senso di responsabilità, è andato dritto per la sua strada: «Un dovere morale per proteggere tutti, i miei collaboratori e il mio pubblico». E i fatti gli hanno dato ragione. Poi si è rimboccato le maniche con aiuti in favore della Protezione Civile e degli ospedali di Milano, Roma, Bergamo, Piacenza e Versilia, per un valore complessivo di 2 milioni di euro. E a partire dal 26 marzo i suoi stabilimenti italiani hanno iniziato a produrre camici per il personale sanitario. Quello stesso senso di responsabilità lo spinge a tenere ancora alta l'attenzione e la prudenza, infatti ieri sera ha sfilato nuovamente a porte chiuse, trasmettendo la sua collezione uomo e donna in televisione su La7.

Tuttavia Armani sa bene che bisogna uscire dall'emergenza il prima possibile. Come? «Far fuori tutti coloro che approfittano di questa situazione». Risposta schietta a Libero. Diretto come sempre, lo stilista non le manda a dire: «Sono lucidamente realista riguardo alla natura umana. Facile far proclami, applicarli poi è altro. Ma fa tutto parte del gioco». E poi «non se ne può più delle ridicole diatribe in tv mentre la gente muore in ospedale». In molti s' improvvisano esperti e per qualche minuto di celebrità fanno a gara a chi la spara più grossa. Pure i virologi che hanno abbandonato i laboratori per i salotti televisivi non ci fanno una bella figura.

UN'OPPORTUNITÀ 
Per non parlare di coloro che continuano a vivere con «leggerezza come se nulla fosse accaduto», fa notare lo stilista. Invece «questa crisi è stata anche una opportunità per rallentare e riallineare tutto; per disegnare un orizzonte più vero; per ridare valore all'autenticità: basta con la moda come puro gioco di comunicazione, basta con le sfilate crociera in giro per il mondo per presentare idee blande e intrattenere con spettacoli grandiosi che oggi si rivelano per quel che sono: inappropriati, e se vogliamo anche volgari. Sprechi di denaro che inquinano e sono verniciate di smalto sul nulla», sostiene lo stilista che ha inventato la giacca da uomo destrutturata. «Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma ci offre anche la possibilità, unica davvero, di aggiustare quello che non va, di riguadagnare una dimensione più umana».

E non possiamo continuare per troppo tempo a interagire «con i monitor, è molto più faticoso e meno creativo, bisogna riprendere il contatto con la realtà, e lavorare sul campo», confida Armani pronto a fare scelte che cambiano i calendari delle manifestazioni fashion: «Niente Parigi, la mia alta moda sfilerà a Milano». Questo sì che è un bel regalo per la città meneghina. Un altro bel regalo l'imprenditore da 8,5 milardi (Forbes 2020) lo ha fatto ieri sera agli italiani portando la sua nuova sfilata , dedicata alla prossima primavera estate, in televisione. Lo stilista ribalta la tendenza che vede Instagram dominare la comunicazione moda per rivolgersi al pubblico generalista.

Il compito di introdurre la collezione è stato affidato a Lilli Gruber con una speciale puntata di Otto e mezzo, partita con un video-documento di 20 minuti e la voce narrante di Pierfrancesco Favino, in cui re Giorgio si racconta attraverso immagini di repertorio e rari documenti d'archivio, tra cui un Richard Gere che con American Gigolò nel 1980 ha consacrato lo stile Armani in tutto il mondo. Un percorso di sottrazione tra rigore e sensualità, purezza e piccole concessioni all'eccentricità che va oltre la moda. Poi la sfilata, dalla quale emerge la personalità di una donna e di un uomo liberi dalle convenzioni estetiche, attenti invece a essere se stessi attraverso quel che indossano. Armani non poteva non dedicare un abito al suo Angel, l'amato gatto nero, scomparso lo scorso luglio. Un omaggio fatto con discrezione ed eleganza: l'immagine stilizzata del micio si posa come una spilla su un prezioso gilet da donna indossato sopra un abito lungo da sera. Il senso della misura è una costante in Armani.