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Mara Carfagna, la svolta contro Giuseppe Conte: stop al dialogo, la fazione in Forza Italia
Mara Carfagna bastona il presidente del Consiglio. Accusa Giuseppe Conte di non coinvolgere l'opposizione nelle scelte, se non a chiacchiere. E gli imputa una gestione fallimentare della politica economica, priva di visione e sorda alle richieste delle imprese. Le critiche dell'esponente azzurra al premier possono suonare come un fatto nuovo. Soprattutto all'orecchio di chi, alcuni mesi fa, aveva accusato Carfagna di intelligenza con il nemico. E sono gli stessi che avevano intravisto, nella nascita del pensatoio di Mara ("Voce libera"), un ponte per far transitare una pezzo di area moderata nel campo della maggioranza. Non è andata così. E, nel frattempo - con il Covid prima e con l'emergenza economica poi -, è cambiato il mondo. Sono successi una serie di fatti politici che hanno ricompattato Forza Italia, data per spacciata non più tardi della fine dello scorso anno. E Carfagna, anche se non siede nell'esecutivo azzurro, non è più percepita come una voce antitetica o una dirigente con la valigia in mano. Va detto: su alcuni punti, le critiche della ex ministra si sono rivelate fondate. Tanto che, quando Silvio Berlusconi (sia pure da remoto) ha ripreso in mano il timone, Fi ha ricominciato a trottare. Uno degli appunti carfagnani era l'eccessivo appiattimento sui temi e le posizioni della Lega. Su questo versante c'è stata una svolta. Perché il Cav, senza rompere con gli alleati, ha saputo differenziarsi costantemente facendo riguadagnare un ruolo politico agli azzurri, diverso dall'essere semplici replicanti dei sovranisti. Un caso su tutti è il Mes. Silvio, fedele alla sua impostazione europeista (sia pure critica), ha sostenuto la necessità di aderire al Meccanismo europeo di stabilità. E questa bandiera ha ricompattato il partito. Un altro tema sono senz' altro i sondaggi. Con la Lega in calo, si redistribuiscono i pesi specifici all'interno della coalizione. E Fi, che sembrava destinata all'estinzione, ora è in leggera ma costante risalita. Più o meno ai livelli delle Europee dello scorso anno. Contemporaneamente ci sono le difficoltà di Italia Viva. Fare il controcanto nella maggioranza non paga in termini elettorali. Nei sondaggi il partito di Matteo Renzi vegeta. Quasi sempre al di sotto di qualsiasi soglia di sbarramento. Solo un fesso adesso andrebbe a fare causa comune con l'ex sindaco di Firenze. E Carfagna, negli ultimi anni, ha dimostrato di non essere una parvenue della politica. Infine c'è un tema generale di credibilità del governo. Guidato da una figura, Giuseppe Conte, dall'ego ipertrofico ma poco incline alla finalizzazione. La sua inconcludenza sta diventando cronica. Chi si lega a questa avventura rischia di fare una brutta fine. Eppure "Giuseppi" è testardo nel voler fare tutto da solo: «Il presidente Conte sbatte ancora una volta la porta in faccia alle opposizioni», attacca Carfagna al termine delle comunicazioni del governo alla Camera. «Come può sostenere che il Parlamento si esprimerà sul piano di aiuti Ue solo quando la proposta del Consiglio europeo sarà definitiva? Di cosa potremo parlare quando sarà già tutto deciso? Insomma, il premier invoca il dialogo, ma solo a babbo morto». Quella del premier è stata la solita «passerella», che ha impedito al Parlamento di di «esprimere l'indirizzo politico al quale il governo si uniforma nel rappresentare l'Italia all'estero».
Il capo dell'esecutivo si è rivelato un bluff. Sicché anche la "cosa centrista", che avrebbe dovuto soccorrere Conte per spostare sul versante moderato l'asse del governo, non è più a tema. Semmai, se da qui a qualche mese dovesse cambiare il manico, sarebbe tutta Forza Italia a valutare il coinvolgimento, e non un pezzo fuoriuscito mediante scissione. Il clima tra gli azzurri oggi è più sereno. Anche grazie al lavoro di ricucitura fatto da Antonio Tajani i rapporti umani tra i berluscones sono migliorati. C'è una sfida, quella delle Regionali, che può essere risolutiva. E c'è l'esigenza di tornare a essere interlocutori privilegiati dei ceti produttivi: «Questo governo ha sempre tenuto un atteggiamento malevolo nei confronti delle imprese», ricorda la vice presidente della Camera. «La cultura della decrescita che contraddistingue M5S, il filo che si riannoda tra Pd e Cgil, la marginalità di Italia Viva, hanno fatto sì che l'assistenzialismo fosse il tratto principale delle misure di contrasto al Covid. Ancora oggi discutiamo di giganteschi piani e di fantomatici Stati generali, senza che premier e ministri siano in grado di indicare un piano coerente per la ripresa».