Caso riaperto?

Azouz Marzouk è convinto: "Rosa e Olindo sono innocenti", cosa non torna sulla strage di Erba di 14 anni fa

Giovanni Terzi

Sono passati quasi quattordici anni da quel 16 dicembre del 2006 in cui nella corte di una casa di via Diaz ad Erba si consumò una dei più efferati delitti di questo nuovo millennio. Quattro furono i morti la giovane mamma Raffaella Castagna, la sua mamma Paola e il suo piccolo Youssef, un bambino di soli due anni figlio di Raffaella e di Azouz Marzouk . Altra vittima fu Valeria Cherubini, vicina di casa e moglie dell'unico superstite Mario Frigerio. Di quel delitto, così tremendo ed efferato, furono accusati e ritenuti colpevoli i coniugi Rosa ed Olindo Romano: movente una litigiosità aspra tra condomini. La sentenza è passata in giudicato ed ha condannato all'ergastolo in via definitiva Rosa e Olindo ma un nuovo colpo di scena ha movimentato in questi ultimi tempi la vicenda giudiziaria. Azouz ha dichiarato che Rosa e Olindo sono innocenti, così facendo "calunniandoli" ed è stato per questo rinviato a giudizio. Per non andare in galera per calunnia Azouz si dovrà difendere portando le prove della innocenza dei due coniugi. Qualora venissero accolte queste nuove prove capaci di assolvere il giovane tunisino per logica significherebbe Rosa e Olindo non sono più colpevoli?

Azouz, sono passati quasi 14 anni dalla strage che le portò via sua moglie Raffaella e suo figlio. Che significato ha per lei combattere per arrivare alla verità?
«Devo dire che non ho mai smesso di cercare la verità. Purtroppo per anni, anche a causa dello shock che ho subìto da quanto accaduto, non ho avuto modo di leggere con attenzione le carte processuali. Già al tempo della Cassazione mi ero fatto un'idea precisa, tanto è che ho rinunciato alla costituzione di parte civile, con il mio nuovo avvocato Solange Marchignoli ho cominciato questa battaglia di verità».

Esiste però una sentenza passata in giudicato e definitiva...
«Mi rendo conto perfettamente che c'è una sentenza passata in giudicato e dunque la storia sarebbe chiusa ma ho realmente fiducia che, dopo anni, qualcosa possa cambiare. La giustizia italiana prevede la revisione e penso proprio che un giorno potrà esserci una verità diversa da quella a cui è giunto il processo. Ricordo ancora il giudizio di primo e secondo grado quando la difesa di Rosa e Olindo combatteva per l'innocenza dei due accusati e sembrava impossibile la loro assoluzione. All'epoca non sapevo se quella difesa avesse pienamente ragione e forse, dal punto di vista psicologico, mi faceva "comodo" quella realtà. Ma il mio giudizio era altalenante. Dopo aver studiato veramente gli atti processuali posso dire che sono certo che, prima o poi, potrò regalare alle vittime una verità vera».

Che anni sono stati questi per lei?
«Sono stati anni difficili, anzi difficilissimi. Non potete immaginare il dolore struggente che toglie il fiato e, proprio quel dolore, ti fa accettare ogni ricostruzione, anche quella su cui avevi dubbi. Ma quei dubbi devono essere cancellati dal cervello perché chi ha perso tutto ha bisogno di un'ancora di salvezza e quell'ancora è la sentenza di condanna, qualunque essa sia. Ma quando sono arrivato in Cassazione non ho voluto mettere la "mia firma" su quella sentenza. Ho ritenuto giusto fare un gesto, anche il più ingenuo, per dire a me stesso che non potevo assecondare un risultato a cui non riuscivo a credere fino in fondo. Da allora ho trovato una nuova forza».

Cosa è accaduto esattamente?
«Il mio avvocato mi ha spiegato che, come vittima, avrei potuto sollecitare la Procura Generale di Milano, l'unico organo deputato a decidere se intentare una revisione alla Corte di Appello di Brescia. Allora mi sono deciso di ricostruire tutti i dubbi e stilare un atto che non richiedeva direttamente una revisione ma solamente chiedeva di raccogliere diciassette prove, tutte legate ai vari dubbi che ho illustrato nell'atto. Il magistrato che ha ricevuto la mia richiesta ha ritenuto che io avessi calunniato Rosa e Olindo, sostenendo che costoro non erano gli assassini».

Quali sono gli elementi che secondo lei non tornano nei processi che hanno condannato Rosa e Olindo?
«Gli elementi maggiormente dubbiosi sono le tre grandi prove e cioè le confessioni, il DNA e il riconoscimento della vittima sopravvissuta, cioè Mario Frigerio. Sulle confessioni non aggiungo altro perché sarà il tema centrale del mio processo per calunnia. Sul DNA basta dire che quella macchiolina è l'unica trovata nonostante ci sia stata una vera e propria mattanza e sembra inverosimile che Olindo non abbia lasciato nessuna traccia se non quella. C'è poi da dire che il processo ha evidenziato forti dubbi sulla possibilità che sia il frutto di una contaminazione involontaria. Quanto al riconoscimento del povero Frigerio voglio ricordare come costui per giorni abbia raccontato di un soggetto sconosciuto il cui identikit era radicalmente diverso da quello di Olindo. Solamente a seguito dell'incontro coi carabinieri la vittima farà il nome di Olindo e dunque mi sono posto il dubbio se potesse essere stato suggestionato. La sua condizione era precaria e gli psicologi che lo hanno visitato mostrano come fosse in uno stato di totale confusione. Voglio sottolineare che questa cosa non la dico io ma è certificata dai video che tutti hanno potuto vedere in televisione. Credo che queste tre prove, se certe, siano una pietra tombale su ogni processo ma, se lasciano dubbi, non sia possibile dichiarare finita la vicenda giudiziaria».

Che rapporto c'era tra la sua famiglia e Rosa e Olindo?
«Erano normali rapporti di vicinato in cui si evidenziavano le differenze di vita: certamente io e Raffaella amavamo avere amici e spesso facevamo delle feste. Rosa e Olindo vivevano soli, senza vedere nessuno, praticamente reclusi nella loro vita. È chiaro che questo ha portato a dei litigi e delle incomprensioni. Qualche volta anche forti tensioni. Ma nego tutte le costruzioni che sono state fatte a posteriori su questo. È stato cercato il movente della strage nelle nostre litigate ma credo che questa sia stata realmente una fantasia. Per non parlare dell'ipotesi che io avrei abusato di Rosa. È pura fantasia e neppure la magistratura ci ha mai creduto».

E tra sua moglie ed i fratelli?
«La mia storia con la famiglia Castagna è stata spesso difficile, è inutile negarlo. La famiglia faceva fatica ad accettarmi e questo posso capirlo ma debbo anche dire che ognuno di loro è stato diverso nei miei confronti. La mamma Paola è stata sempre vicina alla figlia Raffaella e dunque alla nostra coppia. Con Carlo Castagna le cose sono andate male in alcuni periodi e bene in altri. Nei suoi confronti ho però avuto sempre grande rispetto perché è stata una persona buona. L'ho capito capito con certezza dopo la strage, quando è venuto in Tunisia ai funerali di mia moglie, sua figlia e del mio bimbo Youssef, suo nipote. Certamente con Beppe e Pietro è sempre stato più difficile. Ciò che mi ha colpito però non è stata l'antipatia prima della strage ma il fatto di avermi dato la sensazione di essere una vittima di "serie b", mentre loro erano le vere vittime. Credo che questo non sia giusto. Loro hanno perso la mamma e la sorella e io ho perso la moglie e il mio bimbo. Non posso immaginare che ritenere che i colpevoli non siano Rosa e Olindo possa diventare una sorta di battaglia contro di me. Abbiamo idee diverse ma credo di poterle esprimere».

Quali sono le cose che non tornano?
«Le cose che non tornano nel processo le ho già illustrate: le confessioni, il DNA e il riconoscimento di Frigerio. Ma forse non torna neppure il motivo per cui io debba essere processato quasi senza potermi difendere. Mi verrebbe da dire, delle due l'una: se devo essere processato voglio difendermi e se sono processato perché ho detto che Rosa e Olindo si sono falsamente autoaccusati devo poter provare perché ritengo che questa non sia una mia follia. Diversamente non potrei neppure essere processato. Ecco, oggi non mi torna questo paradosso».

Del suo passato, arrestato due volte per droga, si pente di qualche cosa?
«Mi pento di aver patteggiato. Ritengo che il processo avrebbe potuto dimostrare che non ho mai spacciato e probabilmente gli atti avrebbero potuto darmi ragione. Ma fa parte di quel momento incredibile in cui ero realmente confuso».

Si è mai chiesto "se ci fossi stato io in casa con mia moglie e mio figlio non sarebbe successo nulla"?
«Ci ho pensato molto e oggi devo dire che tutto quello che è successo è stato organizzato proprio perché ero assente».

La sua amicizia con Mora e Corona ed il suo passato pensa che potranno influire sulla corte?
«Su questa domanda mi sento di dare una sola risposta. In quel momento non avevo nessuno e loro mi hanno aiutato. Posso aver sbagliato ed esagerato nei comportamenti ma, oggi, coloro che mi accusano di quelle frequentazioni e che mi frequentavano allora, perché non sono venuti in mio soccorso? Di loro ho un buon ricordo e se sono sopravvissuto lo devo a loro».

Lei si è rifatto una famiglia in Tunisia: cosa dice sua moglie di questo suo impegno per scoprire la verità?
«Mia moglie Micaela è una spalla fondamentale: capisce perfettamente il mio bisogno di verità. Quanto alle mie figlie invece non voglio trasmettere loro tanto male coi racconti di quella tragedia ma, se ci sarà una nuova verità, potrò dire loro che hanno un fratellino di nome Youssef che è vicino a loro».

Lei crede che la giustizia possa darle ragione e il processo verrà riaperto?
«Ogni processo è un mistero. Ho fiducia nel giudice e nel tandem di legali che mi supporta. Ho anche fiducia nel pubblico ministero che, davanti alle prove richieste, possa rendersi conto di quale incredibile vicenda ho vissuto».