A corto di parlamentari il mestiere entra in crisi
Se il Coronavirus ammazza il cronista politico
Se c’è una categoria che oggi, in tempi di Coronavirus, si muove lenta, vacua, avvolta da un sudario di malinconia, è quella dei cronisti parlamentari.
A Parlamento defezionato e depotenziato (non che prima…), i giornalisti politico-parlamentari rischiano il posto e la seduta di psicanalisi. Prendete Ettore Maria Colombo, parlamentarista navigato del Qn: è un omone d’altri tempi in sigaro e marsina che per non cadere in depressione ha scritto un saggio: Ti conosco, mascherina. La vita del cronista parlamentare ai tempi del Coronavirus all’interno dell’ebook collettaneo Allaround Ai tempi del virus. Trattasi della fotografia di questo mestiere invidiato e negletto che è anche una forma di autoesorcismo. Un invito al demone della politica ad uscire dal proprio corpo. Scrive Colombo: “Il risultato dell’isolamento è, ovviamente, abbastanza triste e per ben due ordini di motivi. Il primo è la mancanza della ‘fisicità’, fondamentale nel rapporto tra cronista politico e politico, come anche tra giornalista e fonte: come faccio a capire se il mio interlocutore mi sta mentendo, o sta dissimulando, o non mi sta dicendo tutto, se non posso guardarlo in faccia e devo stargli ‘distante’?”. E continua: “Sempre in merito a questo aspetto, gli onorevoli che, oggi, vengono a Palazzo, sono molti meno dei tempi ‘normali’, quindi le notizie, per forza di cose, arrivano sempre dagli stessi ‘sventurati’. Inoltre, l’obbligo della ‘distanza’ fisica di 1 metro e 80, più o meno (molto meno che più…) rispettata dentro e fuori le aule del Parlamento, non aiuta. Una cosa è parlare a un politico da lontano, una cosa è farlo ‘da vicino’: altro che ‘giusta distanza, cambia davvero molto, credetemi”. Colombo, come tutti i parlamentaristi prima di lui -da Gustavo Selva a Saverio Vertone (che dal suo mestiere ci trasse un best seller in forma anonima, Berlinguer e il professore) da Pasquale Laurito a Guido Quaranta, da Barbara Palombelli a Maria Latella, per citare dei fuoriclasse- vive nel sussurro; e cerca notizie tra la buvette e gli emicicli, trotterella nel Corridoio dei passi perduti. E rimpiange il retroscena raccontato all’orecchio dal politico, quel prendersi sottobraccio col potere, il pizzino che sguscia dalla manica dell’onorevole. Aveva già descritto quest’idea forse troppo nobile del Palazzo nel pamphlet Piove, governo ladro. Un dizionario della politica della Terza Repubblica senza dimenticare le altre... (All Around edizioni, 348 pagine, 18 euro); ora, qui, s’addentra nell’analisi della arte dello scriba di Camera e Senato: “Deve farsi ‘amicone’ dei politici di Palazzo, e di tutti, dal peones più insignificante fino al leader del partito più importante: uomini e donne, destra e sinistra, simpatici e antipatici, brutti e belli, non contano, ‘conta’ solo riuscire a ottenere, magari strappandole a forza, ‘notizie’ da usare. Per farlo bisogna, però, sapersi fare concavi e convessi, duttili e intraprendenti. Bisogna, cioè, saper essere e atteggiarsi a ‘uomini di mondo’”. E nel fluire del racconto, tra una manciata d’aneddoti e di storia (la nascita dell’albo nel 1908, la lotta dei resocontisti contro la censura fascista, l’associazione di categoria che conta 300 iscritti..) il cronista parlamentare Colombo cita le Poste, la Barberia, la Corea, le aule adornate dalle livree dei commessi; racconta un mondo che per noi cronisti dall’altra parte della barricata possiede ora il gusto ora della sacra istituzione, ora del fancazzismo elevato allo stato dell’arte. Non ho mai ben capito se più l’un o più l’altro…