Lo scrittore era l'anti-Garcia Marquez

Addio a Luis Sepulveda, fece della sua vita una storia d'amore

Francesco Specchia

Ci fu un momento – ma un solo un momento, un abbaglio nell’eterno fluire della loro storia d’amore- in cui la Pelusa credette che il suo Lucho fosse morto ammazzato. Fortunatamente, si trattava d’un riverbero sbagliato.

 L’ultima volta che la Pelusa ne aveva avuto notizia, era nel Cile della fine anni 70. Lucho, ex combattente tra le fila di Salvador Allende di cui fu pure guardia del corpo, era stato arrestato; e torturato dagli aguzzini di Pinochet, e infilato in una cella monastica in cui non si poteva stare sdraiati né, dalla quella posizione, vedere le stelle. Ecco. Quello fu il momento in cui la passione tra “Lucho” ossia Luis Sepulveda e la moglie “Pelusa”, Carmen Yanez, la “poetessa delle luce e della memoria” subì il travaglio più doloroso. Fino ad oggi, almeno. Oggi che Sepulveda se n’è andato causa Coronavirus -il primo grande scrittore al mondo- in un letto d’ospedale di Oviedo, nelle Asturie, e dopo aver resistito ai primi approcci della malattia ma non alla sua recidiva; be’, oggi, probabilmente, per la Pelusa, saranno squarci di memoria. Lei si ricorderà di quando, preoccupata per il marito, non s’avvide della camionetta della polizia acquattata sotto casa, iena tra le frasche. Si rammenterà di quando la presero e torturarono, e si salvò soltanto perché creduta morta e gettata in un sacco in strada, tra rumore di ossa spezzate e odore di sangue secco. E il suo pensiero vagolerà sugli eterni ritorni del marito, nella cornice di un rapporto sciamanico che lo stesso Sepulveda, in una poesia, aveva chiamato La màs bella historia de amor, la storia d’amore più bella del mondo. Luis, 70 anni, cileno naturalizzato francese, nonostante gli occhi da guerrillero stanco è stato romanziere, poeta, sceneggiatore e giornalista di rara facondia e gentilezza.

La sua scrittura -a differenza di quella di Garcia Marquez- era impregnata più di realismo che di magia. Anche perché la sua vita, oltre a rappresentarne la principale fonte d’ispirazione, era praticamente da sola lo script d’un film, e, al contempo un inno alla libertà. “Allo stesso modo in cui ho combattuto, più che per l’idea di libertà, per non dimenticare che sono un uomo libero: quando difendo il diritto alla felicità, lo faccio per non dimenticare che io sono stato e sono immensamente felice”, amava ricordare nelle interviste. Nato a Ovalle il 4 ottobre del 1949, Sepulveda fu uomo di esistenza, viaggi ed emozioni assai turbolenti. Lasciò il Cile al termine di un duraturo impiego politico, dopo il colpo di Stato perpetrato dal generale Pinochet. Fuggito dalle carceri della dittatura cilena, dopo sette mesi grazie ad Amnesty International, l’uomo prima si vide costretto ad attraversare l’America Latina e quindi a spostarsi in Europa, stabilendosi in Francia. Globetrotter e militante per Greenpeace -per sette anni- si stabilì ad Amburgo, in Germania; poi studiò  all’Università di Lomonosov a Mosca (da dove venne espulso per atteggiamenti “contrari alla morale proletaria” qualunque cosa volesse significare); usufruì del Welfare svedese; fondò un piccolo teatro in Ecuador; combatté a fianco di quel sedicente gruppo rivoluzionario chiamato Brigate Simon Bolivar in Bolivia; si abbeverò alla dottrina libertaria francese. E visse, infine, da icona involontaria della sinistra e della letteratura latinoamericana post-Garcia Marquez, l’ospitalità italiana ai tempi del successo della grande favola La storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Io stesso lo conobbi in circostanze insolite: durante un festival cinematografico ad Amalfi e un raduno di giallisti sudamericani (tra i quali si distinguevano Daniel Chavarria e Rolo Diaz) a zonzo nel cuore innevato delle Alpi. Sempre allegro, sempre con una storia da raccontare, molto comunista. 

 

L’attività letteraria di Luis è stata polimorfa. Sepulveda fu autore di svariati libri di poesia; produsse diversi radioromanzi e racconti che conquistarono molta parte del pubblico mondiale. Il suo primo romanzo è Il vecchio che leggeva i romanzi d’amore del 1989 dall’esperienza di sette mesi trascorsi nella foresta amazzonica con gli indios Shuar e naturalmente divenne un film (“Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere. Ma non aveva niente da leggere.”). Tra le sue migliori produzioni ricorderei La fine della storia, del 2016, sull'ultimo duello fra due personaggi perfettamente ritagliati dal suo passato: un ex-combattente della resistenza alla dittatura militare e un torturatore cosacco già al servizio della polizia segreta cilena; Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà (2015), Diario di un killer sentimentale (96) e Il mondo alla fine del mondo (’94) sui mattatoi delle balene: un mix tra l’apologo di vita e la denuncia sociale. 

Ma il vero tessuto della narrativa di Sepulveda stava, appunto, nella storia con Carmen Yanez, la sua personale Penelope. La incontrò per la prima volta nel 1968, quando il Cile era diventato il Nirvana politico del socialista Allende. Lei aveva appena 15 anni e, dopo soli tre anni, decisero di sposarsi a Santiago del Cile. Dopo la nascita del primo figlio Carlos, arrivò, implacabile, il regime di Pinochet; e, per entrambi iniziarono clandestinità, arresti, torture e repressione. Sepúlveda lasciò il Cile nel 1977, Carmen quattro anni dopo. Le loro vite si separano, e divorziarono. Lui si trasferì in Germania e lei in Svezia. Il destino li riunì nel 1996, nella Foresta Nera. Si ritrovarono quasi per caso. Fu lui a riattizzare la loro complicità persa in anni di latitanza; sicché, tra le telefonate sempre più sincopate, lo scambio di bozze del Vecchio che leggeva romanzi d’amore e una divertita “Festa del divorzio” organizzata tra pochi intimi, la loro passione mai sopita riprese ad infiammarsi. Se ne accorse, per crudele scherzo del Fato, la nuova giovane moglie tedesca dello scrittore, Margherita che agevolerà l’incardinarsi nel nuovo tempo della vecchia love story. Sepulveda, nello stile di Che Guevara -suo mito personale- ritroverà la tenerezza perduta nello sguardo di Carmen, “solo nella serena e inquietante calligrafia dei tuoi occhi”. Pochi giorni dopo partiranno per Parigi e nel 2004, a Gijón in Spagna, si risposeranno. Il Coronavirus è stata, per loro, l’ennesima battaglia col proprio destino. Ma mai, oggi, esito fu più infausto…