Bimba simbolo
Vittoria, la bimba cresciuta all'Europarlamento
Chiamatela eurolattante, una Shirley Temple comunitaria a rischio di pannolino e di procedura d’infrazione. L’Ansa di ieri mitragliava foto, batterie di foto, di Vittoria Ronzulli: bimba deliziosa - felpina rosa, jeans e new balance ai piedini- che s’aggira sorridendo tra vecchi lupi poliglotti dell’europarlamento; scivola tra gli scranni di Strasburgo; s’arrampica sull’emiciclo come il «bambino selvaggio» caro a Rosseau o a Swift. Vittoria è oramai è un apolide. Bascula tra microfoni, assemblee, interpreti, burocrazia vischiosa, architetture austere, babeli di lingue e d’idee. Lo fa da tre anni. Vittoria è la figlia di Licia Ronzulli, eurodeputata Pdl che, nel 2010, appena eletta, la partorì praticamente in aula. E poi, 44 giorni dopo, il 22 settembre 2010, la mamma votò con la bimba addormentata al collo, «per rivendicare maggiori diritti per le donne nella conciliazione tra vita professionale e familiare». La foto, tenera come un spot dei Pampers, fece il giro del mondo. Per la verità, di Ronzulli, da allora, non si ricordano epiche battaglie parlamentari, ad eccezione di uno scazzo molto italiano con Sonia Alfano ripreso dal presidente di turno che evidentemente non aveva idea di cosa sia capace la politica in Italia. Ma il punto è un altro. É Vittoria. La piccola, da quel momento, ha cominciato a frequentare l’europarlamento come se fosse l’asilo nido, o quelle terribili vasche zeppe di palline colorate; e con una frequenza superiore a quella della Zanicchi, di De Mita o Clemente Mastella (sì, sono tutti qui) messi insieme. Soltanto che, invece delle maestre che le cantano Il coccodrillo come fa, la piccina si cucca Martin Schulz che discetta di rigore e rapporto defict/Pil. Vivaddio, Vittoria non ha avuto blocchi di crescita. Anzi. Vede la mamma tutto il giorno e questo è assolutamente un bene. Ad occhio pediatrico, supera il settatentesimo percentile per altezza; scalcia, si accoccola sulle ginocchia della madre ed ha perfino imparato a votare, con due mani, quando la destra non è impegnata ad arricciarsi le treccine. Apparentemente Vittoria non ha amichetti a cui tirare le guance e strappare i giocattoli, nè da sbaciucchiare con quel filo di bava da dentino che perdi da piccolo e talora recuperi in maturità specie se fai deputato. Non ha amichetti, Vittoria, dicevo. Salvo - naturalmente - gli onorevoli limitrofi alla madre indicati dalle targhette 761 e 763: a sinistra un tizio brizzolato alla Shrek, probabilmente dell’est, pignolo, col volto contrito di chi s’è appena perso una delibera; e a destra un signore gonfio, impassibile, che veste come un pastore battista. La massima eccitazione concessa alla bimba è giocare con le cuffie delle traduzione o aprire e chiudere le cartellette di progetti di legge che nessuno leggerà mai. A vederla così fa tanta simpatia quest’infante figlia della globalizzazione, diventata un simbolo. Ma dopo la trentesima foto con la madre in seduta mi viene un dubbio. Licia Ronzulli è sicuramente un’ottima madre che non vuole far mancare la sua presenza alla figlia. Ma forse Strasburgo non è il regno di Oz. Non puoi strillare o dire parolacce, non puoi lordardi di biscotti e lanciarli ai passanti. Non puoi giocare a vomitino e a puzzette. Io ho un figlio di due anni grosso come un vitello e sempre sorridente, che non potrebbe vivere senza tutto questo. M’immagino Vittoria che cerca la tata e invece, conficcata dietro un seggio grigio, si trova davanti Barroso... di Francesco Specchia