La domanda
Cancellieri, perché non ha chiesto dov'è il latitante Paolo Ligresti?
Complici le tensioni nel Pdl, le schermaglie sulla legge di stabilità e lo scivolone del Cavaliere sui figli perseguitati come gli ebrei, dopo l'intervento in Parlamento e l'autodifesa a spada tratta, è sensibilmente diminuita l'attenzione sull'affaire che ha coinvolto Anna Maria Cancellieri, il ministro della Giustizia che si è prodigato affinché Giulia Ligresti, nel nome di una vecchia amicizia, ottenesse la scarcerazione e gli arresti domiciliari per motivi di salute. Fin dal principio, il Guardasigilli ha giustificato quanto detto nelle intercettazioni ("Contate su di me", "Farò tutto il possibile") come un "intervento umanitario". Una spiegazione che convince solo fino a un certo punto, ma che certo non può essere bollata come una panzana. Un amico - anche se i rapporti con la famiglia Ligresti sono anche economici, e non soltanto umani - cerca sempre di applicarsi per l'altro amico. Ovvio, se ad applicarsi in tema di giustizia è il Guardasigilli, il terreno diventa molto più scivoloso. Ma tant'è. Dicevano, anche se l'attenzione sembra essere già scemata, vorremmo fare una domanda al ministro Cancellieri. Una domanda già circolata negli ultimi giorni, ma a cui ancora non ha dato risposta. Perché, oltre a promettere aiuto per Giulia, nelle intercettazioni non c'è traccia di una domanda su che fine avesse fatto Paolo Ligresti? Già, perché il figlio di Salvatore è latitante: lui, per il crac Fonsai, non è mai finito in carcere. L'ordine di custodia cautelare, infatti, è rimasto inapplicato: Paolo è in Svizzera, paese che gli ha concesso la cittadinanza proprio tre settimane prima che scattasse l'ordine di arresto. Un ministro della Giustizia, se si trova invischiato nel caso, dovrebbe chiedere spiegazioni sulla sorte di quello che per la giustizia italiana è un latitante. La Cancellieri non lo ha fatto. Perché?