Due piccioni con una fava
Selvaggia Lucarelli: cronaca della mia relazione con un marito in affitto
Ogni tanto mi domandano come sia crescere un figlio senza un marito, un fidanzato, un convivente. Senza una figura maschile con cui assaporare la bellezza e i limiti della quotidianità, pianificare le vacanze, discutere la sera a cena, fare progetti di allargare la famiglia. La mia risposta è sempre la stessa: «Me la cavo bene in tutto, ma mi manca qualcuno con cui condividere i momenti felici». Che poi è una di quelle citazioni che si possono trovare tranquillamente nel Buongiorno di Gramellini, nella Buonanotte di Riotta su twitter, così come in un discorso di Letta o nei Baci Perugina e nessuno ne rivendicherà mai la paternità perché tanto è probabile che fosse già incisa sul muro di qualche grotta del paleolitico accanto ai disegni di scene di caccia e alle frasi «L’amore arriva quando non lo cerchi» e «Chiusa una porta s’apre un portone». Ecco, è venuta l’ora di fare coming out. Non è vero che mi manca un uomo con cui condividere i momenti felici. Ho amiche, amici, famiglia e figlio con cui condividere i momenti felici. Ho anche i social network con cui condividere i momenti felici, così prendo pure due piccioni con una fava: faccio gioire gli amici e rosicare i nemici. E poi si sa, a un uomo dici: «Tesoro, sono stata promossa al lavoro» e il massimo della condivisione del momento felice sarà: «Quindi dovrò andare io a prendere i bambini a scuola?». La verità è che molto più onestamente, semplicemente, pragmaticamente, a me manca un uomo che mi porti la cassa da sei bottiglie d’acqua al supermercato. È in quel momento lì, quello in cui devo percorrere la distanza tra la cassa dell’iper e il portabagagli della mia macchina, che sento la lancinante mancanza di una figura maschile al mio fianco. Mi trascino tenendo sei buste nella mano sinistra con i manici di plastica che cominciano ad avvitarsi su se stessi ogni volta che la scatola di pelati sbatte sul mio stinco e il mio dito indice viene stretto in una morsa letale, col sangue che non affluisce più, e rifletto. Mi trascino con le sei bottiglie d’acqua da una parte e il dito blu dall’altra e in un rigurgito di puro romanticismo penso che sì, non avere un marito è proprio brutto. L’ho pensato spesso, a dirla proprio tutta, in questi ultimi anni. L’ho pensato quando hanno regalato la Wii a mio figlio e ho trascorso sedici giorni alle prese con la sincronizzazione del telecomando con la console Wii e alla fine il telecomando era sincronizzato con il microonde, il Silkepil e il mio calendario mestruale ma di avere un dialogo con la Wii non ne voleva sapere. Mi è mancato un marito quando mi si è inchiodata la caldaia e la caldaia era sul terrazzo chiusa in una cassetta d’acciaio e la cassetta d’acciaio si apriva solo con una chiave inglese delle dimensioni di uno stuzzicadenti per cui sono andata in un negozio di bricolage e ho comprato un set da 34.234 chiavi inglesi per trovare quella giusta, set che credo non abbia mai posseduto neppure l’intera banda della Magliana e affiliati vari. Mi è mancato un marito quando mi si è rotto lo sportelletto del congelatore e ho ritenuto la riparazione superflua col risultato che nell’intero frigorifero si sono raggiunte le temperature del circolo polare artico e per fare una pasta in bianco a mio figlio per mesi ho dovuto spaccare il burro col rompighiaccio. Mi è mancato un marito quando si è rotta la vecchia tv e non sapevo come liberarmene perché ora fanno le tv al plasma, prima facevano quelle che dopo averle spostate avevi bisogno di tre sacche di plasma e due giorni di camera iperbarica. Ma ho sentito la mancanza di un marito anche quando s’è rotto il tubo della doccia e ogni volta che aprivo l’acqua facevo più spruzzi degli irrigatori automatici del golf dell’Olgiata. O quando s’è fulminato il neon del bagno o s’è incastrato il filo della tapparella o è venuta giù la mensola del bagno. Insomma, l’amore mi è mancato nei momenti che contano. E parlo al passato non a caso, perché l’agonia della solitudine davanti a rubinetti gocciolanti è finalmente finita. Ho trovato un marito. Anzi, ne ho trovati molti. E il vantaggio è che con questi mariti non solo non ho doveri coniugali, ma hanno già una moglie con cui condividere i momenti felici. Con me, devono condividere solo le scocciature. Anzi, se le devono sorbire loro. Sto parlando dei mariti in affitto. Si trovano su «Secondamano» e vari giornali di annunci, su facebook, su www.ilmaritoinaffitto.it e perfino su «Groupon», dove al momento, due ore in compagnia del marito di un’altra, ti costano 19 euro anziché settantadue. Che voglio dire, se uno pensa a quanto possono costare d’avvocato anche solo dieci minuti col marito di un’altra e senza neppure che ti imbianchi mezza parete, è già un affare. I mariti in affitto sono quei mariti che noi tutte, una volta nella vita, abbiamo invidiato a un’amica: quelli che potano le siepi che manco Edward mani di forbice, che dipingono la cassetta delle poste e fanno pure i ghirigori sulle iniziali, quelli che hanno la cassetta degli attrezzi e il barbecue sempre pulito e riparano tetti, caldaie, tagliaerba, frullatori, aerei telecomandati e torri di raffreddamento di centrali nucleari senza battere ciglio. Li chiami, loro ti arrivano a casa, fanno quello che un marito dovrebbe fare gratis e se ne tornano dalla moglie. Che detta così può suonare male, ma è la svolta della mia vita. Nel mio listino sentimentale ormai il prezzo per una mensola dritta può essere al massimo 25 euro l’ora, non certo un matrimonio. E poi diciamolo: è una vita che gli uomini ci pagano per il piacere, era nell’ordine delle cose che noi finissimo per pagarli per il dovere. Il contrario non potrebbe mai accadere: noi le rotture di balle, in casa, ce le smazziamo da sempre gratis. P.s. sul sito maritoinaffitto.it ci sono anche le foto dei maghi del fai da te. E vi dirò: per un paio non solo farei una proposta d’affitto, ma potrei anche accendere un mutuo. di Selvaggia Lucarelli