Finito

Matteo Renzi, Eugenio Scalfari gli dà il colpo mortale: "È il mio errore", e gli devasta il libro

Gino Coala

Ieri Eugenio Scalfari, 94 anni, ha celebrato molto volentieri i funerali di Matteo Renzi, 44 anni. Nel suo editoriale domenicale su Repubblica lo ha trattato come un bischero, uno che non ha letto i libri di Voltaire e Diderot, e neppure quelli di Benedetto Croce e Giustino Fortunato che lui gli aveva consigliato per attrezzarlo al successo. Non ha studiato Giustino Fortunato? Peggio per lui, logico che sia finito male. Per di più Renzi si fa scrivere i libri dagli altri, impossibile infatti che osi citare un filosofo arabo che Scalfari non conosce. Non si fa. Leggi anche: Che tempo che fa, Renzi umiliato da un pennuto: mentre lui era in studio da Fazio... figura tragica Colpisce che colui che Pansa ribattezzò "Barbapapà" scriva tutto ciò con un' allegria fantastica. Egli vive questi seppellimenti di amori perduti come un elisir di lunga vita per sé. Guardando il suo cursus funeralorum, davvero unico, più pregiato del cursus honorum, si capisce come il fondatore dell' Espresso e di Repubblica sia certo un genio del giornalismo, ma anche un collezionista di meste cerimonie che lui officia con la gioia di un simpatico cannibale: gli fanno sangue. Nel mito è il sacrificio di vergini in fiore a garantire giorni prosperi e lunga vita al vecchio più o meno reprobo. Ci sono riti di questo genere praticati ancor oggi - si dice - in culti esoterici. Scalfari però non ha paragoni nella storia di questi due secoli. Ha cominciato con Mussolini, ieri è toccato al Fiorentino, il prossimo non si sa. È vero: ha riesumato una vecchia fiamma, Walter Veltroni, da lui già messo nella bara il 2009, quando il probo cineasta si dimise da segretario dal Pd, ma è una compagnia provvisoria, è un amore ad interim. Uno zombi devoto venuto buono in attesa del prossimo. IL «NONNO» Lo spiega bene il finale dell' articolo. È persino spiritoso, addirittura autoironico. Stabilisce persino una linea genealogica. Dove l' unico non solo sopravvissuto ma eterno sia lui, il Nonno. Scrive di aver dialogato spesso con Renzi, fornendogli molti insegnamenti. Poi l' anno scorso si riparlarono: «...correvano quel giorno i dieci anni dalla fondazione del Pd compiuta da Veltroni. Renzi disse pubblicamente che il padre del partito era Veltroni, il quale era dunque anche suo padre politicamente parlando. Il giorno dopo gli telefonai e gli dissi che siccome Veltroni a sedici anni frequentava casa mia perché era amico delle mie figlie, di conseguenza, se lui lo riconosceva come padre, io in realtà ero suo nonno e i nonni - aggiunsi - insegnano la cultura ai nipoti e se loro non obbediscono ai suggerimenti vengono castigati severamente. Ci ridemmo su e non ne parlammo più». Ora però gli lancia un monito: «Se nel frattempo quella cultura da me suggerita lui se l' è fatta... (dovrà) accettare una posizione nel partito senza aspirare a una nuova leadership. Se invece andrà verso la scissione, il nonno sarà molto deluso». MAUSOLEO Scrive nonno e pure minuscolo, e ci pare un atto di umiltà esagerato. Macché nonno: è un amante, se fosse una donna sarebbe una mantide, un' ape regina, e gli altri poveri fuchi. A mettere in fila nei colombari tutti i virgulti della politica che ha baciato, un mausoleo egizio non basta; quello di Arcore, dove Berlusconi aspira a riposare con gli amici, è una faccenda da dilettanti brianzoli, rispetto allo specialista babilonese d' imbalsamazioni. Conosciamo la leggenda. Ma essa va revisionata. Non è vero che Scalfari porti sfiga, anche se l' ipotesi è avvalorata dalla statistica. Ed è falso non capisca nulla di politica e si debba a lui la sciagura della sinistra che ha eletto a vate un rabdomante di disgrazie (altrui). Non è così. Fa apposta. Si può infatti sbagliare cavallo, ciascuno nella vita ha fatto scommesse sbagliate. Il problema, nel caso del Grande Eugenio, è che quando adotta un puledro, lo massaggia personalmente, gli fa fare un paio di sgambate, quindi lo indica al mondo come il Ribot del millennio, e si accaparra il merito di averlo creato. Poi però, dopo qualche vittoria, se perde un derby se lo mangia, lo digerisce, e ne sputa pure le ossa, dicendo: lo dicevo io che era un ronzino, poteva migliorare, non mi ha ascoltato. Quello se ne va, e lui resta. A proposito di Renzi, idem. C' è tutta una sequenza di articoli in cui Scalfari si erge a Giovanni Battista del Messia di Rignano. Prima delle elezioni europee del maggio 2014, intonò con il corno inglese un inno a Sua Maestà: «(Il Pd) non aveva un Re. Adesso ce l' ha. Per simpatia, per il personaggio, per la sua energia e voglia di fare... O Renzi o il caos». Scelse questo titolo per ungere di sacro crisma il suo pupillo: «Se Renzi vincerà, vent' anni durerà». Parapunzipunzipà. di Renato Farina