Deciso
Gerardo Greco, la missione del nuovo direttore del Tg4: "Basta piazzate e torte in faccia"
La domanda è inevitabile: ma chi te l' ha fatto fare? «In Rai io ci sono nato, allievo del primo biennio della scuola di Perugia che sforna i mezzobusti del tg, poi inviato, corrispondente per dodici anni da New York, dall' 11 settembre a Obama, infine conduttore, ad Agorà, dove abbiamo di fatto inventato un format, e poi direttore del Gr Rai e di Rai Radio 1». E quindi? «Il percorso era compiuto. Il passaggio non è stato improvviso, con i vertici Mediaset ci annusavamo da due anni, poi quando è diventato concreto il progetto di trasformare Rete4 in una tv di informazione, si sono create le condizioni. Che vuoi che ti dica? Credo nel libero mercato e nelle scommesse professionali». Classe 1966, Gerardo Greco è 'uomo del telemercato estivo. Dopo 25 anni di Rai si è trasferito a Mediaset, destinazione Rete4, per assumere la direzione del Tg4, ma l' incarico non finisce qui. «La missione», spiega «è allargare il pubblico e mutare il dna della rete, trasformandola da emittente narrativa a tv d' attualità. Avremo cinque serate dedicate all'informazione, io condurrò il giovedì Viva l' Italia, non sarà un talk show, non mi piacciono, ma un programma di approfondimento, cronaca e analisi. Tutte le sere introdurrò il telegiornale delle 19 con un racconto della prima pagina della giornata, per poi passare la conduzione alla redazione, la natura corale dell' informazione Mediaset deve restare». L' obiettivo dichiarato è la sfida a La7 di Mentana, lo spauracchio da cui fuggire è il Tg4 di Fede, ma Greco scappa da entrambi gli scomodi paragoni: La7 è molto politicistica», taglia corto, «noi ribaltiamo il canovaccio e partiamo dalla realtà. E poi non cerchiamo la faziosità». La prova generale è stata lo speciale sul crollo di Genova. «Ero a Roma» racconta il direttore, «ho preso la macchina e sono partito. Devo dire che la redazione ha reagito prontamente, non mi aspettavo questa potenza di fuoco, quando sono arrivato avevo una telecamera piazzata in posizione ottimale e siamo partiti. In Rai, con la burocrazia che c' è, era impensabile allestire uno speciale così su due piedi». Per approfondire leggi anche: Gerardo Greco a Mediaset: perché Berlusconi l'ha messo al Tg4 A Viale Mazzini eri in grande crescita: perché questo salto? «La Rai è una fabbrica straordinaria di cultura, che mi ha dato più di quanto potessi immaginare nei miei sogni più pazzi, ma ha un grande limite: l' eccessiva rotazione dei vertici, costantemente sottoposi ai cambi di equilibri della politica. Da che sono rientrato dagli Usa, nel 2013, si sono avvicendati quattro direttori generali, il che significa che l' azienda ha cambiato per quattro volte linea editoriale e idee. Un girotondo simile finisce per stressare anche il corpo più in salute di ogni azienda». Ovvero il tuo? «Ma no. Se consideri che solo per rendersi conto di come funzionano le cose uno ci mette un anno e mezzo e quando finalmente ci arriva deve fare le valigie, capisci come in realtà la tv pubblica sia nelle mani sempre degli stessi dirigenti amministrativi, il che la rende un elefante, con una burocrazia forte e sclerotizzata e una dirigenza fragile, in perenne ricerca di un Papa straniero, qualcuno da fuori sul quale fare conto». Allora come ti spieghi lo scontro fratricida su Foa presidente Rai, se la dirigenza è così debole? «Infatti non me lo spiego, la presidenza Rai è sovrastimata. Lo scontro su Foa è una questione cresciuta nella politica, legata a una mancanza di comunicazione all' interno del centrodestra, attraversato attualmente da tendenze aggreganti e disgreganti. Penso comunque che l' incidente sia in via di soluzione, se non addirittura risolto, è stata solo una questione di disattenzione». La tua storia però non è quella di un Papa straniero: da praticante a direttore, tutta carriera interna. Sei stato una lenza? «Il mio segreto di sopravvivenza sono stati i dodici anni in Usa, ero vissuto come un marziano un po' naif. Quando sono rientrato a Roma per ragioni di famiglia, in Rai c' era Gubitosi, che avevo conosciuto a New York, e mi propose la conduzione di Agorà, trasmissione politica. Io non sapevo neppure chi fossero Gasparri e Brunetta». E la nomina a direttore, in quota Renzi? «Guarda che non fu Campo Dall' Orto a nominarmi ma Orfeo. Era la Rai di Gentiloni, un momento di passaggio in cui la politica contava poco. Sono diventato direttore per sbaglio, all' alba di un cupo tramonto, in piena dissoluzione del mito renziano». Confessa: la tua è stata una fuga dalla nuova Rai grillina-leghista? «Ma se ad Agorà invitavo Salvini una volta a settimana». Ma come, non sai che in Mediaset sono volate teste autorevoli di colleghi accusati di aver tirato la volata a Salvini e Grillo durante le elezioni con format gialloblu? «Tutti hanno contribuito a far vincere Salvini, anche io: lui ha alzato le antenne prima degli altri e noi, raccontando l' Italia, abbiamo inevitabilmente raccontato anche lui e i Cinquestelle. Non si può fare solo una tv alta, parlando ex cathedra dei massimi sistemi, sarebbe folle». Allora in che modo la tua Rete4 segnerà una discontinuità con il passato? «Ogni format è figlio del suo tempo, Del Debbio e altri puntavano a movimentare la piazza, e allora c' era; ora passiamo dalle grandi piazze ben raccontate a storie più umane e private, faremo una tv di strada. Nella piazza perdi razionalità e logica, mentre nella storia dei singoli recuperi emotività, hai più tempo per ragionare, passi dalla collettività al soggetto». Secondo te l' indignazione della gente sta scemando? «Per nulla, però l' indignazione è una macchina che divora tutto e si propaga anche contro chi l' ha cavalcata. Pensa a Salvini linciato perché la sera del crollo di Genova a una festa della Lega in Sicilia ha mangiato un pezzo di torta. Immagino che tra chi lo ha attaccato in molti abbiano festeggiato il Ferragosto, eppure Io voglio dare fiato all' indignazione, ma poi vorrei anche parlare e dare spazio all' emozione, altrimenti restiamo sempre alle torte in faccia». Ho capito, ha ragione chi ti accusa di essere il direttore del nuovo Nazareno. «È una critica facile. Magari lo fossi, vorrebbe dire che sarei il direttore del tg d' opposizione, che da sempre è quello più interessante e autorevole, visto che può raccontare la realtà senza filtri e permettersi la critica al governo, mentre gli altri tg sono necessariamente celebrativi. In realtà nei mie anni di tv credo di aver fatto capire al pubblico che sono un giornalista e basta, ho sempre tutelato il confronto». Di sinistra? Agorà ha fama di programma bolscevico. «Perché va in onda su Rai3, se la mettessi su Rai1 diventerebbe un' altra cosa». Parlami di Viva l' Italia: hai chiesto il permesso a De Gregori di rubargli il titolo della sua canzone? «Beh, almeno non dice che ho voluto fare il verso a Forza Italia. È un titolo di speranza». Anche un po' amaramente ironico? «No, non vuole esserlo. Sarà una prima serata larga, dalle 21.30 a mezzanotte e passa, non di politica pura, quella la farà Nicola Porro il lunedì. Partirà dalla cronaca, con i fatti della settimana, per arrivare al dibattito. Ci sarà molta narrativa, sceneggeremo la realtà attraverso un telefilm, come una fiction». Lo faceva anche Santoro. «Noi saremo più alla Montalbano. Ma con una scenografia suburbana, metropolitana di periferia». A che pubblico punti? «A quello di Rai 1, la pancia del Paese, quella maggioranza silenziosa che, come diceva Nixon, poi ti fa vincere le elezioni». Tutto diverso da La7, che parla alle élite? «Dicono che La7 sia di sinistra, ma per me sta diventando populista. Ha fatto meglio degli altri la tv antisistema e si è molto esposta su quel tipo di racconto. Forse l' ha fatto senza rendersene conto, pensando di essere tv dell' elite e parlare a un lettore serioso; invece, inseguendo gli ascolti, ha mosso la pancia degli italiani, che in questo momento sono interessati ai temi della sicurezza e degli immigrati, avvertiti come più forti anche dell' onestà, il cavallo di battaglia di M5S». Quanto dura questo governo con forze così diverse? «Il potere è un collante forte, si è visto anche nella gestione del crollo di Genova, che ha riaperto il tema grandi opere, dove Lega e M5S sono agli antipodi ma non hano rotto. Il governo non cadrà almeno fino a quando non ci sarà una chiara alternativa a esso, che può essere una ripresa del dialogo tra M5S e Pd oppure l' opa definitiva di Salvini sulla destra, o ancora il ritorno della pace nel centrodestra». Quindi reggerà anche alla finanziaria? «Ci sono problemi oggettivi derivanti dalla diversa visione economica tra M5S e Lega, il popolo del reddito di cittadinanza contro quello dei piccoli imprenditori». Mediaset è forte al Sud, ti toccherà fare il grillino? «È forte anche nel Nordest, me lo ricordo dai tempi delle sfide di Agorà con Mattino5». Ti dovrai tagliare la barba, a Berlusconi non piacciono i peli in faccia. «Ma la mia è una barba rada, regolata tutte le mattine. È la barba di Mangiafuoco, fa personaggio, è funzionale al racconto». di Pietro Senaldi