Fedelissima di D'Alema
Lorenzetti, il ritratto della zarina rossa
Sarà un caso, ma i guai per Maria Rita Lorenzetti arrivano da Firenze. È agli arresti domiciliari, nella sua - ed è davvero sua - Foligno, ma la “zarina” sembra in stato di rottamazione preventiva: l’alter ego in gonnella di Massimo D’Alema trascinata in ceppi. Paolo Cirino Pomicino, nel pieno del ciclone dipietrista, ebbe a dire: «Mo’ i foderi combattono e le sciabole stanno appese». Il mottetto s’attaglia al caso. Lei è una comunista di razza: allevata alle Frattocchie, forgiata nelle sezioni e capace di esercitare il potere ovunque e comunque. Difficile credere - come sostengono i pm fiorentini - che abbia avuto a che fare col clan dei Casalesi, molto più probabile che si sia spesa per aiutare i compagni, per lubrificare il sistema che è fatto di coop vicine al partito, di consulenti scelti nella propria parte dalemiana. E probabile che qualcuno del Pd proprio questo non le abbia perdonato. È già successo. Anche l’accusa che la “santa rossa” dell’Umbria - si chiama come Rita da Cascia a cui peraltro è devotissima, e avendo governato per un decennio una Regione dove uno su due riceve stipendio o prebenda pubblica ha elargito erga omnes - abbia barattato favori alle ditte per far avere consulenze al marito architetto pare una diminutio. La Lorenzetti non ha bisogno di triangolazioni pericolose. A lei basta far sapere per ottenere. E difficilmente fa compromessi al ribasso. Perché è pur sempre una “spadara”. Chi non è di Foligno - città dove Maria Rita Lorenzetti è nata il 16 marzo del ’53 e dove è nato anche suo figlio, 26 anni, architetto bocconiano ma ultras del Pd - non può capire. Essere del rione della Spada che si contende la Quintana - ente di cui Maria Rita è tutt’ora vicepresidente - vuol dire essere popolani e pugnaci. Esattamente come Maria Rita, che nel ’74 si laurea in filosofia, l’anno dopo è assunta alla Provincia di Perugia ed eletta consigliere comunale di Foligno per il Pci. Nove anni più tardi è sindaco. D’Alema la coopta nel club esclusivo dei fedelissimi. La porta alla Camera nell’87 e a Montecitorio viene eletta per tre volte di fila. All’ultima diventa presidente della commissione lavori pubblici. La chiameranno la “stradina”. Zarina diventa nel 2000, eletta governatore dell’Umbria, prima donna a guidare una Regione. Nel 2005, quando la rieleggono con un plebiscito, tra i primi a complimentarsi con lei è Silvio Berlusconi. Alcuni non glielo perdonano. Cinque anni più tardi le impediscono il “triplete” con una congiura di palazzo, di cui lei si accorge e che invece di contrastare governa. Ma si assicura la buonuscita: la presidenza Italfer. Governa il centrodestra, ma presidente delle Fs è Mauro Moretti, suo buon amico dai tempi delle lotte sindacali, e D’Alema i suoi li tutela. Lei è come il suo “capo”. L’unica volta che sono quasi riusciti a fregarla - è rinviata a giudizio - è stata con la Sanitopoli umbra. L’accusa? Aver agevolato la sua ex segretaria a sistemarsi nelle pieghe del pubblico impiego. Caschetto biondo, naso dritto, schiena ancor più dritta, sorriso ironico e immancabile avvertimento in folignate stretto «a pisché» rivolto ai cacadubbi, a chi si mette in mezzo, Maria Rita un tallone d’Achille ce l’ha. È Domenico Pasquale, calabrese, di professione architetto. O forse marito della zarina. Il suo studio di progettazione, la Cooper, si occupa di lavori ed edilizia pubblici. Lo hanno chiamato in causa per il terremoto dell’Umbria. Ora per la ricostruzione dell’Emilia la zarina è finita agli arresti. È un tramonto rosso? Può darsi, ma lei - è bene ricordarselo - è della Spada! di Carlo Cambi