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LO SCHELETRO DI GIULIANO"Non dire nulla ai giudicialtrimenti è un casino"

Nicoletta Orlandi Posti

Uno scheletro nell'armadio di Giuliano Amato l'ha trovato il Fatto quotidiano, anzi glielo ho portato registrato su un nastro la moglie di Paolo Barsacchi, un senatore socialista accusato dai vecchi compagni di partito di essere l'uomo a cui finì la tangente di 270 milioni di euro per la costruzione della nuova pretura di Viareggio. Era il 1990 e il Psi è nel panico per quell’inchiesta e vertici scaricarono tutto sul dirigente defunto quattro anni prima. La vedova provò a difendere il suo onore minacciando di svelare i veri colpevoli, ma l’allora vicesegretario del partito, ora giudice costituzionale, le consigliò il silenzio. La registrazione della telefonata che inchioda Amato è anche agli atti del processo che finì con la condanna tra gli altri di Walter De Ninno, due anni e mezzo di ricettazione nei confronti di un imprenditore di Pisa. Era l'inizio di Tangentopoli e la fine del partito socialista. La telefonata tra Amato e la vedova Barsacchi, scrive Emiliano Liuzzi, è del 21 settembre 1990 è in possesso anche dei magistrati che la acquisirono come prova nel fascicolo processuale. “Amato, con voce imbarazzata come lo sarà per il resto della telefonata, va dritto al problema: “La mia impressione è che qui rischiamo di andare incontro a una frittata generale per avventatezze, per linee difensive che lasciano aperti un sacco di problemi dal tuo punto di vista”. La frittata alla quale Amato fa riferimento è appunto un coinvolgimento – come dirà esplicitamente – di altre persone nel processo. “Troverei giusto che tu direttamente o indirettamente entrassi in quel maledetto processo e dicessi che quello che dicono di tuo marito non è vero. Punto. Non è vero. Ma senza andare a fare un’operazione che va al di là di quello… Dire quello non è lui, ma è Caio, quello non è lui ma è Sempronio. Tu stessa ti vai a cacciare i una storia della quale che elementi hai? Hai capito che intendo dire? Tu dici che tuo marito in questa storia non c’entra. Questo è legittimo. Ma a… a… a… a… siccome lì a Viareggio hanno creato questo clima vergognoso, è una reciproca caccia alle streghe, io troverei molto bello che tu da questa storia ti tirassi fuori”. Insomma Amato, puntualizza il Fatto, non dice vai e racconta la verità. Ma vai e non fare nomi. Tirati fuori. Non dire quello che sai, poi accerteranno i giudici. Diciamo che sarebbe stato poco, e il tribunale non si sarebbe accontentato, ovvio. Ancora più interessante il passaggio in cui – e ci arriviamo tra poco – Amato ammette di sapere più o meno chi sono i responsabili di un’azione illegale, ma invita a chiamarsi fuori. E quando verrà lui stesso trascinato a testimoniare non aggiungerà niente.  La moglie di Barsacchi al telefono dice una cosa sola all’onorevole Amato, e lo fa tirando un grosso respiro per non sfogarsi ulteriormente: “Giuliano, io voglio soltanto che chi sa la verità la dica”. E Amato replica: “Ma vattelo a pesca chi la sa e qual è. Tu hai capito chi ha fatto qualcosa?”. “Io”, risponde lei all’illustre interlocutore, “penso che tu l’abbia capito anche te”. E Amato: “Ma per qualcuno forse dei locali sì, ma io non lo so, non lo so. Ma vedi, noi ci muoviamo su cose diverse. Questo non è un processo contro Paolo, ma contro altri”. La telefonata, che ha il sapore del confronto, a questo punto assume altri toni. “Non ti andare a preoccupare di chi c’entra e chi non c’entra”, le dice Amato. “Dicendo che non è vero hai detto tutto quello che è giusto che tu dica”. E qui arriva il cambio di tono, più sommesso quello di Amato, più rigido quello della vedova del senatore: “Una cosa che non so: tu non sei nel processo, giusto?”, chiede Amato. E dall’altra parte: “No, sono testimone”. “Ah, ti hanno citato come testimone… Quindi hai la tua voce nel processo. Beh, vai a dire cercate da un’altra parte”. “Certo, sì. Ma Giuliano, io chiedo solo la verità”.