Il borsino

Renzi gode, Travaglio meno:la lista di vincitori e vintidopo la condanna del Cavaliere

Andrea Tempestini

E alla fine giunse l’ardua sentenza. C’è chi - incauto - stappa lo spumante e chi - anzitempo - si dispera.   Marco Travaglio. Berlusconi condannato. Il Fatto che, magno cum gaudio, può esibire sul sito il titolo a caratteri cubitali: «Pregiudicato». Anni e anni di battaglie conclusi con una vittoria: gli amati giudici gli hanno dato ragione. Il Commissario Travaglioni si sta lustrando le stimmate, per settimane si vanterà in tutti i talk show di essere stato l’unico e il solo a non nutrire dubbi sulla natura criminale del Cavaliere. Va detto: è il momento dell’orgasmo. Ma attenzione. Perché l’erotico piacere, come noto, dura pochi secondi. Il problema, poi, è ripartire. Stante il Nemico in galera o agli arresti, con chi se la prenderanno Travaglioni e gli altri secondini della sua redazione? Col povero Napolitano? Con il maltempo? Con il riscaldamento globale? Contro chi sventoleranno le memorie di Montanelli e le interviste di Biagi? Va bene, è l’ora, godete. Occhio, però: fare gli antiberlusconiani di professione è sempre meglio che lavorare.  «Repubblica». Si brinda, e come no. Con lo champagne, per giunta, mica con lo spumantino da supermercato. Niente orgasmi, che non fa bene. Qualche composto sussulto, qua e là. Ezio Mauro vaga da una parte all’altra della redazione, come Tarzan appeso alla sua Liana Milella, raccontando che ora Silvio dovrà chiedere il permesso ai giudici anche per fare la pupù. Massimo Giannini si può finalmente far ricrescere i capelli da hippie e tornare ad ascoltare Bob Dylan. Concita De Gregorio è dalla parucchiera. Manderà in seguito ampio reportage.  A Eugenio Scalfari l’han dovuto ripetere due o tre volte, che a Berlusconi era stata confermata la condanna. Poi ha capito. «Potrei dargli la grazia», ha dichiarato Barbapapà. E vagli a spiegare che non è presidente della Repubblica, ma solo il Fondatore di un giornale.    Il destino di Mauro e soci, tuttavia, è quello dell’ape: quando finalmente punge, si spegne. E allora, quando cala finalmente il buio e i pasticcini sono finiti, il direttore, solo nel suo ufficio, scruta l’orizzonte nero. Nel cielo, poche stelle. E nemmeno un’intercettazione a tenere compagnia. Partito democratico. L’incapacità di vincere l’hanno registrata nello statuto. E infatti, adesso che il loro principale avversario mostra il fianco, sono nei guai fino al collo. Poiché si dà il caso che il principale avversario sia anche il principale alleato, e al governo con «il pregiudicato» ci sta il Pd. Il mastino Grillo già morde i polpacci, i compagni di rito renziano affollano la bottega dell’arrotino per affilare i coltelli. Rosy Bindi, nonostante vari tentativi,  è sempre Rosy Bindi. Bersani si rivolta nella tomba e grida: «Avevo ragione io, porco boia», poi si riavvolge nella pelle di giaguaro e ritorna al sonno eterno. Il malcapitato Epifani continua a domandarsi perché non è andato in pensione, guarda la foto di Napolitano in ufficio e domanda: «Perché mi guardi e non favelli?».   È dal 1994 che aspettano questo giorno, e non possono goderselo: il peggio viene adesso. E perdere contro Berlusconi resta sempre più onorevole che perdersi dietro a un Civati qualsiasi. Giorgio Napolitano. Azz. Qua il fico d’india si fa spinoso. Uno ci mette tutta la buona volontà, rinuncia alle vacanze a Sorrento, si ciuccia altri sette anni di guai e poi arriva un giudice a rompere le mozzarelle nella margherita. Va bene che c’è ancora qualche mese, che bisogna aspettare l’interdizione. Ma il vaso di pandora si è rotto, e hai voglia a lavorare di colla. I falchi svolazzano e scalpitano, le pitonesse s’attorcigliano, dalle parti di Firenze l’Arno è tutto un bollore. Si rischia di dover dare un colpo di grazia, e non è detto che basti. Uno lavora tutta una vita e nemmeno la vecchiaia in pace. Azz. Matteo Renzi. Sarebbe il più berlusconiano del Pd. Sarebbe quello che va in processione ad Arcore, il prediletto del Cavaliere. Sarebbe quello che frequenta i maneggioni delle Cayman e affitta Ponte Vecchio. E allora perché si sta leccando i baffi? Molta è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. La Suprema Corte ha acceso un falò sotto il sedere di Enrico Letta e la Toscana è piena di legna da ardere. In aggiunta, ci sono pure le salsicce da metter sulla griglia e un po’ di oha-ola per festeggiare la buona novella. A Matteino non resta che sedersi sul Ponte Vecchio e aspettare i cadaveri dei nemici (tutti iscritti al suo partito) scorrere nell’Arno. Fra un po’, il sindaco sarà libero di andare. Andare dove, nessuno lo sa. Ma, alla fine dei conti, chi se ne frega. Basta non stare a Firenze.  Beppe Grillo. E vai che c’è qualcuno che sta peggio. Adesso, finalmente, si può berciare in libertà, le liti interne passeranno in secondo piano, persino Vito Crimi sembrerà un politico vero e non un figurante. Si potrà menare la clava senza pensieri, soprattutto contro il Pd. Sono loro, i democratici, gli alleati di un criminale ed evasore fiscale. Sono loro, adesso, che hanno i peperoncini nel didietro. Allo stato attuale, picchiare Epifani è come menare uno che dorme.  E non c’è nemmeno, come invece accade al Fatto,  il problema di vendere un giornale. Adesso, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio possono andare in vacanza felici. Peccato solo che la villa di Bibbona l’abbiano affittata.  Enrico Letta. Il momento è catartico. Il dramma è dietro l’angolo. I falchi scalpitano. I compagni rosicano. I mercati fibrillano. La giustizia è cieca, ma la sfiga ammazza se ci vede. Comunque calma. Moderazione. Pensarci bene. Aspettare Napolitano. Tentare di rinviare. E se non si rinvia, muoversi il meno possibile. Ora ci si vota alla Madonna. Ora ci si vota allo zio Gianni. Ora si vota? Speriamo proprio di no. I giudici di Milano.  Adesso c’è un problema, e piuttosto grave, anche. Ricordarsi dove - una ventina d’anni fa - hanno nascosto quella bottiglia buona, da stappare solo in un’occasione specialissima, proprio al massimo della gioia. Ah, e poi ci sarà da spedire qualcosa ai colleghi della Suprema Corte, in segno di solidarietà. Un cestino, un panettone... No, siamo in estate, magari un salamino... Altro dilemma: la bottiglia, stapparla adesso o aspettare il processo Ruby? Oddio, ha aspettato tanto, il vinello. Però, dai, meglio stappare adesso. Che poi magari quello torna... Antonio Di Pietro. Il danno e la beffa. Ci ha dedicato la carriera, poveraccio. E adesso glielo fanno fuori così, sotto il naso? Non potevano almeno invitarlo? Nemmeno uno striscione, manco due militanti in piazza. Vincono gli altri, e lui rimane con un palmo di naso. A questo punto, non resta che sperare. E magari iscriversi al Pdl. Chissà, magari è la volta buona che si festeggia davvero.  Stefano Fassina. L’eterogenesi dei fini. Disse: in certi casi, si evade per sopravvivere. Stavolta forse ci siamo. di Francesco Borgonovo