Le strategie del Cav

Pdl, Berlusconi si ritira in Sardegna per non tuffarsi nei ballottaggi

Tommaso Montesano

Rabbia per l’ennesimo affondo della magistratura sul caso Ruby, ma sostegno convinto al governo. Che Silvio Berlusconi è determinato a tenere al riparo dalle polemiche anche restando fuori dalla mischia dei ballottaggi delle Amministrative.  Fatto sta che gli stati d’animo del Cavaliere negli ultimi giorni sono fotografati dalla sua lista degli ospiti in Sardegna. Giovedì, a pranzo è stata la volta di Angelino Alfano. Con il vicepremier e ministro dell’Interno, Silvio Berlusconi si è concentrato sull’agenda del governo. Ribadendo al segretario, suo ufficiale di collegamento con il premier Enrico Letta, l’intenzione di sostenere lealmente l’esecutivo. Salvo valorizzare al massimo le proposte del Pdl sulle riforme e i provvedimenti economici. Da venerdì sera, però, a villa Certosa, in Sardegna, sono ospiti tre esponenti di spicco del fronte dei «falchi»: il coordinatore del partito, Denis Verdini, il presidente della commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone, e la pasionaria Daniela Santanchè, cui guarda quella parte del Pdl che, in ottica interna, non vedrebbe male un ridimensionamento del ruolo di Alfano. Opzione che Berlusconi per ora non prende in considerazione, rinnovando anzi l’invito a serrare i ranghi per non offrire pretesti ai nemici del governo. Verdini, Capezzone e Santanchè resteranno in compagnia del Cavaliere fino a oggi. La loro presenza in Sardegna, però, ha coinciso con la nuova puntata dell’offensiva giudiziaria della procura di Milano. Nessuna sentenza o richiesta di condanna, stavolta. Ma solo, si fa per dire, gli echi della requisitoria dei pm sul «caso Ruby» nel filone che riguarda Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti. Berlusconi non si è stupito della nuova ondata di accuse provenienti da Milano, ma ha comunque dato disposizioni di intensificare l’offensiva contro le toghe milanesi. Così si spiegano le numerose dichiarazioni di ieri contro i magistrati, in primis quella di Renato Schifani, capogruppo al Senato, ma soprattutto ex presidente del Senato.  Un fuoco di fila cui, nel più classico gioco delle parti, fa però da contraltare il colpo di freno impresso dallo stesso Alfano, tornato a tenere separati i due fronti: quello giudiziario e quello dell’appoggio all’esecutivo. «Da una parte ci sono i processi, dall’altra  il governo. Due ambiti e due destini separati e distinti», ha assicurato il titolare del Viminale. Vale a dire che «il destino del governo è legato soltanto ai risultati che sapremo ottenere». In questa chiave, il Pdl sta rilanciando in grande stile il tema del presidenzialismo. Un altro modo per marcare la presenza del Pdl nell’esecutivo. «Se lavoreremo, dureremo», ha tagliato corto Alfano. Negli ultimi giorni, accanto al futuro del governo, sul tavolo di Berlusconi è tornato ad affacciarsi il «dossier partito». Motivo, il doppio incarico in capo ad Alfano: segretario del partito e numero uno della delegazione del Pdl a Palazzo Chigi. L’ex premier, però, al momento non ha alcuna intenzione di toccare l’assetto del Pdl affidando ad un’altra persona la segreteria. Sa benissimo che un cambiamento del genere causerebbe effetti a catena imprevedibili. Da qui il punto fermo imposto alla questione da Sandro Bondi, l’altro coordinatore: «Al fine del successo del governo e dell’unità del partito, è essenziale che Alfano mantenga i ruoli di segretario politico  del Pdl e di vicepremier». Ai tre «falchi», Berlusconi ha rinnovato l’invito a smetterla con le polemiche interne. «Dobbiamo restare uniti, tutti devono fare la loro parte». Niente contrapposizioni inutili: partito e ministri devono collaborare. Senza considerare i secondi come avversari.  Quella che si apre domani, però, è anche la settimana che porterà ai ballottaggi di domenica e lunedì prossimi. Berlusconi è tentato di tenersi fuori. Per evitare che il suo intervento, in caso di sconfitta, possa essere utilizzata dai suoi avversari per gridare alla «sconfitta di Berlusconi». L’unica eccezione, il Cavaliere potrebbe farla per la chiusura della campagna elettorale di Gianni Alemanno. Ma il sindaco di Roma uscente è anche quello messo peggio dopo il primo turno. Cosa accadrebbe se Alemanno, nonostante l’intervento in extremis di Berlusconi, perdesse lo stesso? Ecco perché il leader del Pdl, pur sperando nella rimonta del sindaco se non altro per non avere poi il grattacapo di ricollocarlo nel partito, è determinato a restare fuori dalla mischia. di Tommaso Montesano