A 25 anni dalla morte di Almirante

Veneziani e il saluto romano: è anacronistico ma...

Eliana Giusto

E' folcloristico, è vintage, è nostalgico, è puro sentimento. Marcello Veneziani, a venticinque anni dalla morte di Giorgio Almirante, che ha chiuso un'epoca, celebra il saluto romano, ormai rito caduto in disuso, a volte grottesco, ma non criminale. Scrive Veneziani su il Giornale che l'ultima volta che ha visto una "selva di braccia tese" è stato un mese fa, ai funerali di Teodoro Bontempo. All'uscita del feretro dalla Chiesa i camerati hanno fatto il saluto romano. Quel rito d'addio "aveva una forza liturgica così intensa e corale che nemmeno la funzione religiosa era riuscita a esprimere. Raccontava una vita e una morte, una storia e una comunità. Nulla di retorico o di minaccioso". Ma qualcosa di commovente.  Perché è vero che il saluto romano è diventato "grottesco" "in epoca democratica e antifascista", dice ancora Veneziani, "ma ancora più ridicolo era far scattare la denuncia di apologia di fascismo per un saluto innocuo e antico, come se il folclore fosse criminalità. La nostalgia è un sentimento, non un delitto. Si può essere giudicati fessi per un saluto romano, non delinquenti. Anacronistici, non terroristici". Persino il pugno chiuso, continua Veneziani, "non mi dispiace, ha una forza simbolica raccolta e concentrata. Però che volete, provo maggiore simpatia estetica per il saluto romano. E' un segno estroverso, meno cattivo, più classico, più naturale, più socievole e più teatrale, perfino più autoironico...".  Insomma conclude Veneziani, il saluto romano oggi è "efficace per sottolineare una situazione tragica o grottesca, tra il rito e la gag", per "evocare un passato antico e per coglionare un presente infame":