Trattamento impari

In nome dell'uguaglianzaanche la Kyenge va rimossa

di Pietro Senaldi @PSenaldi Il ministro per l’Integrazione, l’italocongolese Cécile Kyenge, merita il massimo rispetto, sia come individuo che per la carica che riveste, e il fatto che sia la prima persona nera ad avere un incarico di governo non deve in alcun modo essere ragione per trattarla diversamente dai suoi colleghi. Per questo è politicamente corretto chiedersi se non sia il caso che il presidente del Consiglio la rimuova per destinarla a compiti meno spinosi, esattamente come ha fatto tre giorni fa con il sottosegretario pidiellino Michaela Biancofiore, spostata dalle Pari Opportunità alla Semplificazione dopo le sue reiterate dichiarazioni in tema di gay e trans. Sgombrato il campo da ogni considerazione di merito sulle frasi del ministro, ovvero se sia giusto o meno che chiunque nasca in Italia, anche se da genitori stranieri o addirittura irregolari, diventi per ciò stesso  subito cittadino italiano, e se sia giusto o meno che venga al più presto abolito il reato di immigrazione clandestina, la Kyenge andrebbe ridimensionata  perché, in carica da una settimana scarsa, ha già piazzato due bombe sotto la poltrona del già di suo traballante premier Enrico Letta, e tutto lascia pensare che non farà nulla per disinnescarle. Questo governo nasce, nell’espressa volontà di Napolitano e di Letta, come esecutivo di larghe intese e riconciliazione, con due vocazioni: favorire una riforma istituzionale che renda l’Italia governabile e tentare di dare una risposta alla crisi diminuendo le tasse, aumentando i posti di lavoro e riducendo debito pubblico e sprechi. Tutto il resto è corredo, e di tutto il Paese ha bisogno tranne che di spaccarsi su questioni etiche (caso Biancofiore)  o di politica migratoria  (caso Kyenge). Ma il ministro pare proprio non averlo capito. Comprensibilmente fiera della sua storia di immigrata giunta in Italia con poco o nulla e riuscita addirittura a diventare medico ed entrare in Parlamento, la Kyenge ricorda una concorrente di “Italia’s got talent”, cui la ribalta mediatica concede 120 secondi per convincere il mondo delle sue mille buone ragioni. In una settimana ha scaricato sulla nazione vent’anni di lotte politiche e frustrazioni personali. Si muove su un tema delicato e divisivo come l’integrazione con la delicatezza di un elefante in un negozio di porcellane.  Non è quello che dice a stupire. È immigrata, nera, profondamente di sinistra, sta scritto che sia a favore dello ius soli e contro il reato di immigrazione clandestina. Sono la tempistica e i toni che la rendono inopportuna. L’integrazione, nei rari casi in cui avviene, è figlia di un lento e dolce processo culturale-economico, non si impone con la forza e non si inculca nell’animo di un popolo con dichiarazioni stentoree.  La crociata del ministro Kyenge, personalmente legittima, non è, come non lo erano le dichiarazioni della Biancofiore, quello di cui il governo ha bisogno. E allora perché una viene rimossa e l’altra no? Sul "Giornale" un immigrato come Magdi Allam azzarda: «Non sarà perché è nera?». E di più, in numerosa compagnia, attacca: «Il ministro non fa l’interesse esclusivo dell’Italia, come invece ha giurato di fare quando il governo si è insediato». Frasi forti, che dimostrano come il comportamento della Kyenge anziché favorire l’integrazione stia mettendo molti italiani contro gli immigrati e potenzialmente aizzi il razzismo.     Peraltro, come dimostrano le reazioni polemiche del Pdl e la freddezza con cui il premier ha accolto le esternazioni del ministro,  le battaglie della Kyenge non sono tema all’ordine del giorno, non possono essere argomento sul tavolo di un governo provvisorio di larghe intese.  Al di là delle buone (o cattive, secondo i punti di vista) intenzioni del suo titolare, è chiaro fin d’ora che il ministero dell’Integrazione in questa legislatura non potrà far nulla di rivoluzionario.  Da pasionaria, sarebbe auspicabile che la Kyenge si trasformasse al più presto in  ministra e  si desse da fare per far rispettare le leggi in materia di immigrazione che già ci sono (e che non sono certo le più severe in Occidente), anziché battersi per il loro stravolgimento.  Non è tempo di talebani. «Chiamatemi nera, non di colore» ha dichiarato  la Kyenge appena insediata. Una frase che «Libero» ha applaudito, interpretandola come un sano stop a buonismi e ipocrisie lessicali.  Se invece era qualcosa di più, una potente rivendicazione identitaria e un manifesto programmatico del tipo «sono il ministro degli immigrati prima che dell’integrazione», Letta ne dovrebbe trarre le conseguenze, per usare un’espressione che il premier ha cara.