La storia

Renzi e Berlusconi, una "love story" lunga 20 anni

Andrea Tempestini

  di Andrea Tempestini @antempestini Idee chiare, fin dal principio. "Caro Renzi, ma come fa uno bravo come lei a stare con i comunisti?". Una domanda, ironica ma non troppo, con cui si concluse il primo incontro tra Matteo e Silvio Berlusconi. Anno di grazia 2005. Quello che sarebbe diventato "il rottamatore" era il giovanissimo presidente margheritino della provincia di Firenze. Ex scout, ex democristiano e futuro "piddino" dissidente. I due s'incontrarono nel nome di Maurizio Scelli, allora commissario della Croce Rossa, impegnato nel lancio di Italia di Nuovo, un'esperienza politica scomparsa nel nulla senza lasciar traccia. Scelli, nel 2008, finì per essere eletto con il Popolo della Libertà, terzo nella circoscrizione Abruzzo, dietro a Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Affinità sin dal primo faccia a faccia, insomma, tra Matteo e Silvio. Tanto che il Cav, impressionato dal carisma e dalla spigliatezza di quel ragazzetto, si chiese che ci facesse con i "nemici" di sempre, con i comunisti, o post-comunisti, o rossi. Fate voi. Così simile a me, deve aver pensato Berlusconi, eppure con loro. Ad Arcore - L'incontro più celebre, chiacchierato e discusso fu quello del dicembre 2010. Il ragazzetto ha qualche anno in più, è diventato sindaco di Firenze. Stavolta Scelli non c'entra nulla. Sono il pragmatismo e la concretezza a portare Renzi ad Arcore: ha bisogno di fondi per chiudere il bilancio della sua Firenze. Sperava che nel cosiddetto milleproroghe, prossimo al varo, ci fosse qualche rivolo di denaro pubblico destinato alla città di Dante. Ma di soldi non ce n'erano. Per trovarli il sindaco voleva imporre un balzello sui turisti, una tassa di soggiorno sull'esercito di umanità che a Firenze visita gli Uffizi, Santa Maria Novella, Palazzo Vecchio e varie meraviglie. Matteo riteneva corretto parlarne con il presidente del Consiglio. Per i suoi "compagni", però, varcare la porta dell'inferno ed essere ricevuti dal Demonio in persona non era proprio cosa. Con Berlusconi non si parla, punto e basta. Per i detrattori quel colloquio è la macchia indelebile che smaschera Renzi: un berluschino ambizioso, un maneggione affabulatore che tra media e "tivvì" ci sguazza. Per chi stima Renzi, o per chi cerca solo di giudicarlo senza preconcetti, quel faccia a faccia fu soltanto politica. Una mossa coraggiosa per chi ha sul petto la spilletta del Pd.  "Sfida, non galera" - Per giorni si ricamò su quell'incontro, su possibili intrighi e scalate "al partito". Ci si spinse a ipotizzare la fuga di Renzi dal Pd. La polemica, a sinistra, impazzava. Matteo da par suo, sul blog, scriveva: "Un sindaco ha il dovere di incontrare il Premier. Ovvio che avendone la disponibilità, Renzi avrebbe preferito di gran lunga una sede ufficiale (...). Ma non ce n'è stata in alcun modo la possibilità". Intanto i buoi erano scappati dal recinto. Il rottamatore, per parte della vulgata rossa, è diventato il Berlusconi della sinistra. I due si annusano, si avversano ma si stimano. La summa del renzi-pensiero sul Cav è arrivata solo poche ore fa: "Io lo voglio sfidare, non lo voglio arrestare". Touchè. Una lezione alla sinistra manettara, un monito controcorrente nei giorni duri del grillismo che impazza e di Bersani che, fallendo, insegue il Movimento 5 Stelle. Sul conto del sindaco piovono altre critiche feroci. Per Anna Finocchiaro, infilzata, Matteo è un "miserabile". Lui, al solito, tira dritto: passano poche ore ed ecco un nuovo incontro. Certo, è casuale. Forse non così casuale. Ma c'è l'occasione. Quindi perché no? Renzi incontrerà Berlusconi a Parma. Ancora. Facile ipotizzare che i due parleranno di Quirinale. Tratteranno. Un'altra volta. Miele di Cav - Berlusconi negli elogi al sindaco si spinse più in là. Con malizia, arguzia e probabile calcolo elettorale, ben sapendo che lo sfidante sarebbe stato Bersani, disse che con Renzi in campo non si sarebbe candidato. Per il Cav, Matteo è quella "sinistra socialdemocratica" che esiste in tutta Europa, ma non in Italia. Per l'ex premier, Renzi vuole realizzare il programma del Pdl, ma dall'altro lato della barricata. Molto miele pre-elettorale, ovvio. Il messaggio trasversale (ma non troppo) era chiaro: Bersani non votatelo o sarà un disastro (difficile, col senno di poi, dire che Berlusconi sbagliasse). Tanta tattica, ma anche interesse, apprezzamento, stima per quel sindaco che, tra i pochi nel suo partito, ha sempre difeso il lavoro del "padrone" Sergio Marchionne. Per quell'uomo di sinistra che però di sinistra non è. Per il rottamatore che un po' come il Cav nel 1994 vuole fare piazza pulita della vecchia nomenclatura, infilandosi tra le crepe di un sistema in difficoltà per spaccarlo del tutto.  Televisioni - Matteo, come Silvio, buca lo schermo. Domina la televisione. Usa le parole giuste. Non lesina gli attacchi. Sa piegare il mezzo. E' astuto. Da un lato lavora per "rottamare", dall'altro sa che la guerra barricadera punto-e-basta paga, ma solo fino a un certo punto. Si tratta, anche con Berlusconi. Anche con Bersani: il sostegno dopo le primarie nell'ultima campagna elettorale è stata un'altra mossa di rara saggezza politica. Il sindaco non ha strappato. Ha atteso la disfatta di Pier, e ora cerca di portare a compimento la scalata di un partito, di un intero apparato (che serve per vincere alle elezioni, e Matteo lo sa). Il sindaco se ne frega di vecchi schemi e pregiudizi. Va anche nello studio di Maria De Filippi, comparsata berlusconiana se ce n'è una, e rivendica orgogliosamente il passaggio alla Ruota della Fortuna, quando nel 1994, diciannovenne, "spillò" 48 milioni di lire alla Fininvest di Berlusconi. Lo stesso Berlusconi con cui il suo destino si sarebbe intrecciato in un lungo flirt che, complice Mike Bongiorno, in un certo senso dura da vent'anni.