Né prove né condanne
Perna, il massacro di Nicola Cosentino: la verità sui suoi 820 giorni in galera
Senza mai una condanna, Nicola Cosentino ha già fatto 820 giorni di carcere preventivo ed è ancora dietro le sbarre. Inoltre, gli è stato vietato di vedere la moglie che solo da un paio settimane ha potuto riprendere le visite. Per evitare contatti, gli hanno frapposti centinaia di chilometri. Lei con l’obbligo di non muoversi da Caserta, residenza coniugale. Lui trasferito dal penitenziario di Secondigliano (Napoli) a quello di Terni, dove villeggia tuttora. Il cinquantasettenne Cosentino - detto Nick ’o texano per l’impero petrolifero familiare a Casal di Principe - è l’ex esponente di Fi. In auge, è stato coordinatore del partito in Campania portandolo al successo nelle politiche del 2008, con molti eletti alla Camera e al Senato. Fu premiato con la nomina a sottosegretario all’Economia nel Berlusconi IV. Dopo due anni lasciò però la carica essendo entrato nel mirino dei magistrati anticamorra del napoletano. Per analoga ragione, il Cav non lo ricandidò nel 2013 facendogli perdere l’immunità. Da allora - tranne una parentesi - dorme sul pagliericcio. Oggi, Cosentino è politicamente finito e socialmente distrutto. «Se entrasse in un negozio, la gente si scanserebbe», mi dice un amico di Napoli esperto di umori campani. È dimenticato dagli ex colleghi di Fi, salvo qualche buon samaritano. Della chilometrica carcerazione non si indovina la fine. Il sistema italiano, che è tra i più illiberali, tollera i ceppi preventivi fino a sei anni. E, con giudici che scambiano l’habeas corpus per una crema rassodante, c’è rischio di farseli tutti. Tuttavia, da qualche giorno, Nick è gasato perché per la prima volta può fare sentire la voce. È iniziato il suo interrogatorio in uno dei quattro processi che lo riguardano. L’incredibile della vicenda è questo. Sono vent’anni che su Cosentino aleggia la nomea di simil camorrista. Uno stillicidio continuo. Un pentito accusa, un giornale rilancia, un giudice smentisce, l’altro conferma. Così, dieci volte. Cosentino ha chiesto spesso di potere chiarire. La magistratura, per lustri, ha fatto il nesci. Poi, a partire dal 2009 e senza averlo mai sentito, le è venuta la fregola di arrestarlo. Due volte ha chiesto l’autorizzazione al Parlamento, sempre negata. Quando poi lo ha messo al gabbio ha continuato a non volerlo sentire. Così, per due anni e tre mesi, Nick ha marcito nelle patrie galere tenendosi dentro quello che da decenni gli preme in gola. Il processo nel quale ora sta parlando è il più antico. Ha luogo nel tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dove ne ha altri due pendenti. La causa si chiama Eco 4 e prende il nome da una spa casertana per lo smaltimento di rifiuti. La storia, al nocciolo, è questa. Eco 4 è vicina al centrodestra, mentre aziende analoghe della zona sono del centrosinistra. Per la procura, dietro la società c’è il clan dei Casalesi di cui Nick è ritenuto l’aggancio politico. L’accusa è di concorso esterno. Ossia, Cosentino faciliterebbe gli affari dei malavitosi in cambio di voti. Il processo si è impastoiato e si trascina. L’indagine è iniziata otto anni fa, il dibattimento va avanti da cinque, le udienze sono già state 120. Si gira in tondo perché ai pm manca la polpa. Peggio. Due anni fa, si sono dati la zappa sui piedi con un teste che ha fatto la dichiarazione opposta all’atteso. Costui, Franco Di Bona, collaboratore di giustizia, ha raccontato che il capo clan, Walter Schiavone, aveva offerto voti a Cosentino che, come il più virtuoso degli uomini, li ha però rifiutati. Il pm, Alessandro Milita, è andato sulle furie, sospettando che il diabolico Nick - dal carcere! - si fosse lavorato il Servizio Protezione per subornare il teste. Ha ordinato un’inchiesta ma se ne ignorano gli esiti. Altri collaboranti affermano invece che l’imputato ha avuto voti dai clan. Nessuno ha però detto che li abbia anche chiesti. Ergo: il concorso esterno sfuma. Non diverso è l’andamento, in un’altra sezione di Santa Maria Capua Vetere, del secondo processo che ha un nome da operetta: Il principe e la ballerina. Qui, l’audizione di Cosentino è di là da venire. L’accusa è di avere favorito il solito clan, tanto nell’apertura di un centro commerciale a Casal di Principe che per ottenere un mutuo bancario. A parte che il centro non è mai sorto, si è scoperta un’incongruenza nell’accusa. Per i pm, Nick avrebbe aiutato i casalesi a erigere il centro per dargli modo di riciclare denaro sporco. Domanda: ma se avevano soldi da riciclare che bisogno c’era di chiedere alla banca un mutuo, anziché spendere quelli inquinati e sbiancarli con la costruzione del centro? Insomma, senza scendere in particolari, anche in questo processo i pm sono in affanno. Intanto, per alcune imputazioni, c’è già stato un proscioglimento in istruttoria. Per riassumere: da ciò che emerge, il prolungamento della gattabuia non si giustifica. Perché allora la pervicacia? Dopo il primo arresto nel marzo 2013, quando persa l’immunità Cosentino si costituì a Secondigliano, le cose erano meno intricate. Tanto che all’inizio dell’estate - su istanza dei difensori, Stefano Montone e Agostino De Caro - la Cassazione concesse i domiciliari, poi la libertà. Per la Corte, con l’uscita dal Parlamento, la pericolosità dell’imputato era cessata. Non contando più nulla - questo il succo del ragionamento - Nick diventava per i Casalesi carta straccia. Ma subito il pm della Dda di Napoli, Antonello Ardituro, fece ricorso chiedendo alla Corte di ripensarci. E quell’incosciente di Cosentino invece di mettersi in sonno che fa? Si rituffa nella politica, fonda il movimento Forza Campania per combattere i nemici interni e riemerge con tutta la iattanza del suo temperamento guascone. Passano due mesi e paffete: la procura di Santa Maria Capua Vetere lo incrimina per un nuovo filone di indagine. Stavolta, è risbattuto in galera con due dei suoi molti fratelli, Antonio e Giovanni. È il 3 aprile 2014. Da allora, non è più uscito. A ruota, si aggiunse la revoca della Cassazione del provvedimento di libertà emesso mesi prima: l’impugnazione di Ardituro era stata accolta. Anche per la Corte, il ritorno di Nick alla politica ne risvegliava la potenzialità filocamorrista. Un pregiudizio tautologico, ma tant’è. Non ho spazio per dilungarmi su questo terzo caso in cui Nick è accusato coi fratelli di estorsione per una storia di pompe di benzina. Faccio però notare, che mentre il Nostro è tuttora in galera, entrambi i fratelli sono a casa da mesi. Come finiranno i tre processi di Santa Maria Capua Vetere? L’esperienza insegna che i giudici, visto lo zelo profuso dai pm, non oseranno negare la condanna in primo grado. Ma in Appello le aspettative di assoluzione sono buone. Intanto, però, campa cavallo. Ed è nell’esasperazione per questa carcerazione da Abate Faria che si radica l’ultima incriminazione, stavolta del tribunale di Napoli Nord. Risale a fine 2015. Nick - stando all’accusa - ha indotto alcuni secondini a mancare ai loro occhiuti doveri. Avrebbe così ottenuto per vie traverse di introdurre nella cella leccornie, camicie e perfino l’iPod con musichette per accompagnare la ginnastica nell’ora d’aria. Coinvolta è la moglie (ecco il divieto di incontrarla per mesi) e pure il cognato. Cosentino è stato così definitivamente sepolto dal quarto ordine di arresto. Se delinque anche in carcere, la sua natura è bastarda, pensano le toghe. Prima di indossarle - replico io - passate tre mesi a Poggioreale in balìa dei vostri colleghi. Conoscerete meglio voi stessi. di Giancarlo Perna