L'intervista

Quando Oriana Fallaci difese Calderoli. Parla il leghista: "Che onore le sue parole"

Andrea Tempestini

Su Libero di domenica 27 dicembre, proponiamo ampi stralci del discorso che Oriana Fallaci tenne all’ambasciata italiana a New York nel febbraio 2006, dopo aver ricevuto un premio dall’allora presidente del consiglio regionale toscano Riccardo Nencini. Pochi giorni prima, scoppiò una rivolta fuori dalla nostra sede diplomatica a Bengasi. L’audio integrale con l’intervento della scrittrice sarà diffuso da Roberto Calderoli - che all'epoca finì nel mirino per la celebre maglietta sfoggiata in tv con la caricatura di Maometto - martedì alle 21, alla festa leghista di Albino (Bergamo). Di seguito, l'interivsta a Claderoli di Matteo Pandini. «Avevo ragione io e lo conferma il regalo di Natale di Riccardo Nencini. Mi ha detto: “guarda, ti preparo un cd con un discorso inedito della Fallaci. Dopo 10 anni, penso di potertelo dare”». Roberto Calderoli parla con Libero del dono che l’ex presidente del Consiglio regionale della Toscana gli ha fatto trovare sotto l’albero. Si tratta di una registrazione artigianale con le parole della scrittrice fiorentina dopo l’assalto all’ambasciata italiana a Bengasi. Secondo alcune ricostruzioni, la folla s’inferocì per la maglietta - con una vignetta satirica su Maometto - che l’allora ministro lumbard mostrò in tv. Era il 2006 e la Fallaci aveva accettato un premio della Regione Toscana, tra i malumori del centrosinistra. Senatore Calderoli, la maglietta le era costata il governo ma ora si gode le parole di Oriana Fallaci. «Esatto. Pensi che Nencini l’ha conosciuta con difficoltà ed è riuscito a farle prendere il premio solo perché ha accettato un appuntamento all’aeroporto di Pisa alle 6 del mattino. In più, la consegna del riconoscimento è avvenuta nel nostro consolato a New York. Ma per ben tre volte l’allora ministro degli Esteri, Fini, aveva negato lo spazio. Solo quando minacciarono di celebrare la cerimonia in strada, Fini cedette». Con lei, senatore Calderoli, Fini era stato molto duro. «Era quello che aveva insistito di più per le mie dimissioni. Mi chiamò per dirmi: “lascia”, ma dato che se non avessi fatto un passo indietro non avrebbero potuto fare nulla, Fini aggiunse che si sarebbero dimessi tutti per poi dare vita a un nuovo governo. Già da questo si intuiva il cambiamento ideologico di un uomo che si diceva di destra». Ma lei dichiarò d’essersi pentito per quella maglietta. «Avevo detto “non lo rifarei” dopo aver saputo che, sia pur indirettamente, quel gesto aveva provocato dei morti. Ma poi ho scoperto che quegli incidenti nulla c’entravano con la maglietta che avevo mostrato in tv». Spieghi. «Ho ricevuto due versioni. Una riguarda i servizi segreti libici e l’ambasciatore libico in Italia che giocava su due tavoli: con Gheddafi e con i rivoltosi. Tanto che la manifestazione di Bengasi sarebbe partita contro il Colonnello, e poi era degenerata quando - passando sotto l’ambasciata italiana - il corteo era stato colpito dalla milizia del Raìs. Avevano sparato sul corteo! Secondo un’altra versione, invece, era tutta una manovra di Gheddafi per farsi riconoscere i danni di guerra». Libero le riconobbe l’onore delle armi e titolò: “Onore al kamikaze padano”. «Libero fu l’unico giornale a schierarsi con me. Incredibile. Quando le vignette sono di Charlie Hebdo, tutti le difendono. Ma se vengono mostrate dal sottoscritto no. Eppure ho ricevuto una serie di fatwe. Avevano trovato riferimenti che riguardavano me e la mia famiglia a casa di quel matto che si era fatto saltare in aria, fuori da una caserma dei carabinieri, per non parlare di alcune intercettazioni tra estremisti in carcere. E ancora oggi ricevo minacce su Facebook». Infatti finì sotto scorta. «Sono sempre sotto protezione, ma mai al livello di quel periodo. D’altronde se uno di sinistra è sotto scorta perché minacciato è un poverino che va difeso, se succede a qualcuno della Lega è uno spreco di soldi. Comunque vivere sotto scorta era pesante, non c’è libertà di uscire». Dicevamo della Fallaci. «Si tratta di un discorso di circa venti minuti che proporrò alla Berghem Frecc di Albino, il 29 dicembre. Non parlerò dal palco ma mostrerò il video. Sarà il mio regalo di Natale». Lei e la Fallaci vi eravate sentiti? «Ho letto i suoi libri ma non l’ho mai sentita». Eppure la Fallaci non fu sempre tenera, né con lei né con la Lega. «È vero, ma poi credo abbia riconosciuto il nostro coraggio. Non siamo pavidi, come lei chiama chi non si espone. Di pavidi ne abbiamo visti parecchi nel 2006 ma pure nel 2008». A cosa si riferisce? «Vincemmo le Politiche e Berlusconi mi propose la presidenza del Senato. Ma dato che Schifani ambiva a quella carica, mi offrì il ruolo di vicepremier. A quel punto si misero di mezzo tutti: l’ambasciatore libico, lo stesso Gheddafi, addirittura ci furono pressioni di Scaroni ovvero dell’Eni. Non mi volevano al governo. Ci fu una lunga trattativa». E lei diventò ministro senza portafoglio. «Sì ma avevo in mano la Semplificazione, il federalismo fiscale, la parte economica che riguardava gli enti locali... Berlusconi aveva cercato di mediare. Però ho un dubbio su Gheddafi. Non credo che tutta quell’opposizione nei miei confronti c’entrasse con la faccenda di Bengasi. Secondo me non mi perdonarono un’altra cosa, ovvero aver visto - per puro caso - il figlio di Gheddafi, quello che giocò nel Perugia, uscire da una clinica privata del Nord. Molto probabilmente per farsi depurare da chissà cosa». E lei? «Ero lì per motivi professionali, sarà stato il 2004 o 2005. Forse un medico che fa il ministro non fa comodo...». Calderoli, oggi è la sua rivincita? «Posso dire d’essere passato dal “kamikaze padano” di Libero al “profeta padano” che difende la nostra identità e che viene citato dalla Fallaci. Sono contento». intervista di Matteo Pandini @EmmePan