Dalla Prima Repubblica
Giancarlo Perna intervista Claudio Martelli: "I socialisti? Tutti sistemati". E su Borrelli e Di Pietro...
Sarà per il successo della sua autobiografia, Ricordati di vivere, fatto sta che Claudio Martelli è le settebellezze. I capelli graziosamente brizzolati sono il solo indizio dei 71 anni del Giovin Signore del socialismo italiano nei tempi in cui la Prima Repubblica declinava. «Confesso di non avere letto il tuo libro, anche se è vecchio di un anno», dico io. «Mai avuto illusioni sui giornalisti. Ho qui una copia», dice lui e me la porge. «L’avrei letto comunque. Hai avuto solo recensioni positive. Inconsueto per un politico, che in genere attira antipatie», dico io. «Ha stupito anche me», risponde e sediamo all’aperto in un Caffè di Villa Borghese nonostante sia buio e la serata umida. «Sembri uno 007», dice Martelli accennando al lungo impermeabile con sciarpa che indosso. «Sono vestito esattamente come te», replico, squadrandolo. «Infatti, ci prenderanno per cospiratori», dice e aggiunge: «Ci penso io». Chiama il cameriere e ordina: «Grog al cognac con cannuccia». Con la pozione fumante davanti e il suo modo leggiadro di succhiare, Claudio assume l’aria del perfetto dandy che richiama irresistibilmente il Martelli degli anni ’80 quando sfoggiando i suoi blazer era il Lord Brummel dei palazzi romani. Siamo socialmente riabilitati e nessuno potrà più prenderci per truci scagnozzi. «Seicento pagine! - esclamo, sfogliando il libro -. Perché hai pensato che un tale malloppone su di te potesse interessare?». «Sono presuntuoso e i fatti mi hanno dato ragione. Alla Bompiani sono felici. Si aspettavano un saggio noioso, è invece un racconto con aneddoti e personaggi. Non sono molti i libri sulla storia italiana dal ’68 agli anni ’90. Trentamila copie vendute, e si vende ancora dopo un anno. Due premi: il Carlo Levi e il Vincenzo Padula». «Più tante lodi», aggiungo. «Ho infranto un pregiudizio» racconta. «Diversi mi hanno detto: “Pensavo tu fossi il tipico rampante socialista. Letto il libro, mi devo ricredere”». «Quando scrivevi eri forse già cambiato rispetto al presuntuoso delfino di Bettino Craxi», osservo. «Il merito è del tempo che ha riabilitato la politica della Prima Repubblica. Nel libro riporto questa frase del procuratore Borrelli, gran sacerdote di Mani pulite: “Dobbiamo chiedere scusa agli italiani. Non valeva la pena buttare via il mondo precedente, per cadere in quello attuale”. Per me, è come avere vinto. Se poi pensi che Di Pietro -l’eroe eponimo di Tangentopoli che ha distrutto un’intera classe politica sul finanziamento illecito dei partiti - è stato accusato di intascare i soldi del suo, il cerchio è chiuso». Gli chiedo: «Meglio la vita da politico o gli ultimi vent’anni dopo il tuo ritiro?». «Quella da politico era la mia giovinezza ed è difficile non rimpiangerla. Quella dell’ultimo ventennio ha avuto varie fasi. Sei anni li ho dedicati ai processi e fare l’imputato non è un bel mestiere. Liberato da quel peso, pensando a Bettino ormai morto, volevo rimettere in piedi il Psi, senza capire che era tutto cambiato. I socialisti si sparpagliavano tra destra e sinistra. Cercavo di riunire e quelli obiettavano: “Non si può. Oggi va il bipolarismo”. Menavo il can per l’aia. Fu il periodo peggiore della mia vita. Poi vidi un battibecco tv con due ex psi, Fabrizio Cicchitto e Giorgio Benvenuto, in cui uno rappresentava la destra di Fi, l’altro la sinistra del Pd. Stessa scuola ma schieramenti opposti. Allora, mi dissi: “Si sono sistemati, perciò non mi danno retta”». Povero Claudietto, si è incupito. Ha resistito al tracollo di tre matrimoni con quattro figli da mogli diverse, ma non digerisce la diaspora socialista. So che da anni ha smesso di votare, ma chissà se avrà ancora le sue simpatie e quali. Glielo chiedo. Ci pensa, ordina un secondo grog e prima di rispondere spazza via le patatine che facevano da ancelle all’aperitivo. Poi dice: «Se qualcuno combatte una battaglia liberale o socialista, sono pronto a battermi con lui. Socialisti e liberali, questo è il mio mondo». Come vivi la crisi italiana? «Malissimo, malissimo, malissimo. Vorrei fare qualcosa. Detesto l’inconcludenza». Allusione alla politica attuale? «Girando per presentare il libro, ho visto che la gente ha un bisogno spasmodico di concretezza e verità. Che mancano del tutto. Ecco perché uno su due non vota. C’è solo populismo che fabbrica nebbia. Uno sfinimento democratico del quale qualcuno potrebbe profittare». Matteo Renzi? «All’inizio, ci sono cascato anch’io vedendolo sbaraccare il fortilizio comunista. Ma l’estinzione di quel Jurassic Park era nelle cose più che dovuta alla bravura di Renzi. Non poteva sopravvivere». Sarò più preciso: il profittatore che esce dalle nebbie è Renzi? «Renzi non ha né una cultura politica, né un disegno, né una visione dell’Italia. Ha un progetto di potere che persegue con determinazione alla ricerca della sua personale supremazia. Cambiare per cambiare non risolve. Il cambismo non è riformismo». Gioca a fare il salvatore dell’Italia. È pericoloso? «Il salvatore in Italia è sempre uno che vuole un potere unico e personale. Tuttavia, o Renzi fa cose serie o sarà travolto. Perciò non mi fa paura. Inoltre è giovane, con grandi possibilità di migliorare. Nel frattempo, l’Italia va a fondo. Siamo il solo Paese Ue ancora in recessione». Di fronte al declino che avrebbe fatto il duo Craxi-Martelli? «Aggredito le questioni fondamentali: troppo debito, troppe spese, troppe tasse. Nell’ordine, Perna». Uscire dall’euro o vent’anni di vacche magre agli ordini dell’Ue? «Affrontiamo il debito, sfruttando il nostro patrimonio pubblico e privato. Convertiamo parte delle azioni di imprese di Stato - Eni, Enel, Finmeccanica, ecc- e di partecipate locali dandole a privati in cambio di denaro per abbassare il debito pubblico. Diminuiti gli interessi sul debito, che oggi ammontano a 80 miliardi l’anno, si potranno ridurre le tasse. E il più sarà fatto». Il grosso del debito fu opera del governo Craxi tra il 1983 e il 1987. «Luogo comune. Con noi, il debito passò dal 70 al 90 per cento del Pil. In gran parte per spese decise in precedenza dai governi del compromesso storico, specie per Sanità e Previdenza. Con Craxi, aumentò invece il Pil, in media del quattro per cento. Crescita che tenne il debito sotto controllo». A causa del referendum sul nucleare voluto da te, la bolletta energetica del Belpaese è la più cara d’Europa. «L’Italia non è un Paese per il nucleare. Troppo limitato e sismico. Non sapremmo neanche come smaltire correttamente le scorie. Di fronte alla complessità, gli italiani cercano scappatoie. Non siamo tedeschi o giapponesi. Conoscendo i miei concittadini, mi confermo di avere avuto ragione». Giuliano Amato al Quirinale? «Solo se vogliamo un presidente che non faccia ombra a Renzi. Amato è un perfetto secondo». L’inquilino ideale per il Colle? «Un presidente politico con le palle. Un Pertini, attualizzato». Tu, ex Guardasigilli, al contrario di molti, dici che la trattativa Stato-Mafia c'è stata. Ma, se era per evitare un danno, dov'è lo scandalo? «Lo scandalo è che la neghino. La domanda è: la trattativa ha impedito nuove stragi? No. Vedendo i cedimenti dello Stato, Riina ordinò: “Bisogna dare ancora un colpettino”. E sono seguite le bombe di Milano, Firenze e Roma. Chi si fa pecora, il lupo se la mangia». L’inumano e incostituzionale carcere duro è stato introdotto da te. Buttando Beccaria alle ortiche. «Tu sei completamente fuori di testa (è alterato, ndr). Detenzioni speciali per criminali incalliti ci sono in tutto il mondo. Rispetto agli Usa, il 41 bis è un cinque stelle. È solo un isolamento severo, non è che vengano picchiati o altro». Berlusconi? «Non lo capisco più. Non so se sia in una fase di genio creativo o sia bollito. Non può contemporaneamente nominare propri eredi Renzi e Salvini che sono opposti. Un modo certo per distruggere Fi e regalare gli elettori ai due Mattei». Hai un Paese modello? «La Svezia. Tante tasse e tanti bei servizi». Sei socialista nelle budella. Se da noi finisse male, ti rifugi lassù? «Resterei qui. Per vivere la catastrofe con le persone cui voglio bene». di Giancarlo Perna