Urlatore
Selvaggia: "Con Landini oltre al lavoro si rischia di perdere l'udito"
Io capisco che i sindacati stiano attraversando un momento difficile, capisco che i cassintegrati Fiat vedono Lapo Elkann sulla carrozzina in carbonio e la macchina con la nuova carrozzeria gessata e stiano un tantino incazzati, capisco che gli esodati e i precari e i disoccupati e le fasce deboli del Paese in questo preciso momento storico debbano fare la voce grossa, ma qualcuno spieghi a Maurizio Landini che il senso di «voce grossa» dovrebbe essere metaforico, non letterale. Non so se lo avete seguito nei vari talk di politica negli ultimi mesi, ma il volume di un qualsiasi intervento del segretario generale della Fiom è passato in poco tempo dall'essere leggermente elevato a toccare i decibel dei caccia militari quando rompono la barriera del suono. Per carità, va bene che Maurizio Landini parli alla pancia della gente, ma dovrebbe ricordarsi che parla pure alle orecchie. E che a ogni sua invettiva contro i nemici dell’articolo 18, ci sono decine di persone che perdono il timpano, oltre che il lavoro. Intendiamoci. Il Landini mediatico fumantino lo è e lo è sempre stato. Accento emiliano e timbro alla Bruno Pizzul, Landini, in tv, pure se ha di fronte il Dalai Lama che discorre di energie dell’universo, lo guarda come se anziché una guida spirituale avesse davanti a sé i celerini entrati alla Diaz. La rissa televisiva l’ha cercata più o meno con tutti. Con Zingales, in un epico scontro in cui lui gli urlava «L’hai mai fatto il saldatore tu?» e Zingales che ha l’aria di quello che non ha mai infilato un pedalino in lavatrice, pur di dire qualcosa di vagamente proletario farfugliò: «Ho fatto il meccanico a 14 anni». Come no. E a 7 assemblava iphone nello scantinato di Barbablù. Si scontrò duramente con la Santanchè, la quale lo invitò con il suo proverbiale lirismo a infilarsi quel dito che lui continuava a puntarle contro laddove non splende il sole e neppure la fiamma ossidrica. Ha litigato con un numero imprecisato di imprenditori condendo i suoi coloriti interventi con memorabili «Mi son stufè!» e il suo tormentone «Santo Iddio!». Ha accusato più o meno tutti, da Berlusconi a Brunetta a Milly Carlucci di aver firmato il fiscal compact. Ha incolpato tutti politici degli ultimi 10 anni di essere responsabili di quel precariato diffuso per cui oggi un posto di lavoro dura meno di una piega della Camusso. Ha messo a dura prova la pazienza di Floris, Formigli, Santoro e tutti i conduttori tv, ma fino a un paio di mesi fa era più indisciplinato che urlatore. Ultimamente il suo tono di voce è sempre quello del soldato a cui stanno amputando la gamba col seghetto di Leroy Merlin. Una roba che anche quando ha ragione, vien voglia di strozzarlo con le maniche della felpa Fiom. Esempio lampante il suo contraddittorio con Alan Friedman a DiMartedì due sere fa. Si parlava di cassa integrazione e articolo 18. Dopo cinque minuti di urla in cui il povero Friedman tentava di dire la sua zittito dall’ira funesta del segretario della Fiom e veniva seppellito da repliche moleste, il proletario indifeso pareva Friedman. Non escludo che Renzi dopo aver visto Alan difendere così strenuamente la sua causa, gli abbia girato gli ottanta euro per le gestanti e l’assegno familiare. Insomma, capisco il fervore, ma la parabola mediatica di Landini sta prendendo una brutta piega, per cui da spettatrice gli chiedo umilmente di preoccuparsi sì della redistribuzione della ricchezza ma pure di quella di nostri timpani. Ps. Solidarietà al povero Matteo Renzi, che di Landini ne ha una anche in casa (la moglie fa Landini di cognome). Spero per lui che Agnese non urli quanto Maurizio, ma nel caso, sappia che se divorzia gli concediamo la giusta causa. Credo che anche i sindacati non si opporranno. di Selvaggia Lucarelli