Il colpo di scena

Camorra, il Tribunale di Napoli assolve i boss Iovine e Bidognetti: "Niente minacce a Roberto Saviano"

Giulio Bucchi

I boss dei Casalesi Antonio Iovine e Francesco Bidognetti sono stati assolti a Napoli nel processo per le minacce allo scrittore Roberto Saviano e alla giornalista e senatrice Pd Rosaria Capacchione. Bisognetti e Iovine, che qualche mese fa ha deciso di collaborare con la giustizia, sono stati assolti "per non aver commesso il fatto". I pm avevano chiesto la condanna a un anno e sei mesi per il primo e l'assoluzione per il secondo. Assolto anche l'avvocato Carmine D'Aniello, per il quale era stata chiesta una condanna sempre di un anno e sei mesi. I giudici della terza sezione del Tribunale di Napoli hanno condannato solo Michele Santonastaso, legale di Bidognetti, a un anno di reclusione, con pena sospesa. Il legale dovrà anche risarcire i danni all'autore di Gomorra, alla onorevole democratica e all'Ordine dei giornalisti della Campania, che si era costituita parte civile al processo. Stabilita anche una provvisionale di 20mila euro alla Capacchione. "Saviano: i boss sono guappi di cartone" - "Sono un po' frastornato - è il commento a caldo di Saviano -, tutte le forze civili, la società civile, sono riuscite a creare un corto circuito e a sollevare l'attenzione. Dare la scorta a chi scrive, significa garantire un diritto costituzionale". Per lo scrittore la condanna del solo Santonastaso si tratta comunque di una mezza vittoria: le minacce ci sono state, sia pur non partite direttamente dai due boss che Saviano definisce "guappi di cartone". "Spero che questa sentenza sia un primo passo verso la libertà, spero ci sia per me una nuova vita", è l'auspicio del 35enne autore napoletano, che vive sotto scorta dal 2006, quando le sue accuse ai boss della camorra salirono alla ribalta nazionale grazie al discusso e vendutissimo Gomorra.  Le presunte minacce - Tutto nasce da un documento firmato da Iovine e Bidognetti letto dall'avvocato Santonastaso durante un'udienza del processo d'Appello Spartacus, il 13 marzo 2008. In quel testo, i due boss accusavano Saviano e la Capacchione di essere "pseudo-giornalisti" e "prezzolati", manovrati a fini politici per colpire i due boss. Secondo il pm antimafia Antonello Ardituro, però, quelle parole altro non erano se non "messaggi" in "linguaggio mafioso" per invitare gli altri camorristi a colpire non solo Saviano e la Capacchone, ma anche altri nemici di spicco della camorra come i magistrati di Napoli Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone (accusati dai boss di "imbrogliato le carte". In Aula: "Sono in ansia, è la resa dei conti" -"Questo è un giorno decisivo e questo è un processo importante a prescindere da me, voglio essere obiettivo anche se sono coinvolto. Ciò che è certo è che sono tremendamente in ansia, lo vivo come una resa dei conti", scriveva Saviano poche ore prima sulla propria pagina Facebook. "Nella storia della camorra non era mai successo che i capi di un clan si fossero esposti così in prima persona sulla libertà di stampa, quindi questa è una novità assoluta - ricordava -. Il pentimento di Antonio Iovine è stato già anche in parte una vittoria. E' stato difficilissimo, quando sono andato in aula come testimone c'è stato un momento in cui la difesa dei boss ha cercato di processare me, di far saltare la mia credibilità".