Magna magna tutto rosso

Zoia, il ritratto della segretariasu cui è scivolato il buon Bersani:la sacrestana della chiesa rossa

Andrea Tempestini

  di Andrea Morigi Altro che partiti liquidi o di plastica. Finché resisteranno donne d’apparato come la sessantenne Zoia Veronesi, le strutture politiche sopravvivranno anche ai terremoti giudiziari. Mai vista a perdere tempo alla buvette o a chiacchierare in giro per i corridoi della Regione Emilia Romagna. Anche chi lavora da decenni nei palazzi di viale Aldo Moro, a Bologna, l’avrà incrociata sì e no una decina di volte. Si era fatta le ossa per nove anni al seguito del segretario degli allora Ds, Mauro Zani, un “duro” che si è ritirato dalla politica rifiutando perfino di iscriversi al Pd, considerandolo troppo socialdemocratico. Lei invece è gentile, simpatica, per niente burbera e arrogante. Minuta, capelli rosso tiziano, qualche lentiggine, non si presenta certo con l’aria della pasionaria trinariciuta. Eppure, la sua dedizione alla causa nasce da una scelta di vita, quasi da sacrestana della chiesa rossa. Obbediente fino in fondo, quando all’inizio degli anni Novanta il partito la affida alla stella nascente Pier Luigi Bersani, “la Zoia” porta tutta la propria esperienza e le proprie conoscenze. Da allora, fra il 1993 e il 1996, per accedere al neo-presidente della Regione Emilia Romagna si deve passare obbligatoriamente da lei. Del segretario del Pd, lei sa tutto. Non è mica una che sta lì a pettinare le bambole, direbbe il suo superiore diretto. Tiene lei l’agenda, anche quella personale, cioè privata. Ne sa più lei, sull’uomo di Bettola, di chiunque altro, compresi i familiari. Se scegliesse di parlare, insomma, verrebbe giù tutto il sistema, a partire dagli intrecci fra il settore pubblico e il mondo delle cooperative. Perciò la trattano tutti con i guanti. Tranne qualche magistrato che, magari con il segreto intento di scardinare l’omertà degli ex comunisti, decide di entrare senza tanti complimenti nel bel mezzo della cruciale battaglia per le prossime primarie del Pd. Finora, il caso Greganti insegna, i compagni avevano attivato gli anticorpi e così si erano salvati dalle indagini che li hanno lambiti da Tangentopoli in avanti. Poi, proprio a partire dalla cerchia di stretta fiducia di Bersani, si sono staccati i primi pezzi con il caso Penati. E ora arrivano le picconate propria sulla fidatissima Zoia, indagata dalla procura di Bologna con l’ipotesi di reato di truffa aggravata ai danni della Regione Emilia Romagna. In realtà, così avevano inteso tutelarla. Basta verificare il suo curriculum. Da dipendente della Regione, fra il 1996 e il 2001, all’epoca dei governi dell’Ulivo, le viene concessa l’aspettativa per seguire Bersani al ministero delle Attività produttive prima e ai Trasporti poi, dove sarà assunta come collaboratrice esterna nello staff del ministro. Con la sconfitta elettorale del centrosinistra, torna in Regione, dove nel frattempo, dal 1999, si è insediato Vasco Errani. La inquadrano come dirigente, anche se non risulta in possesso di una laurea. Nel frattempo, libero da gravosi impegni istituzionali, Bersani fonda con l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco l’associazione Nens, acronimo di “Nuova economia nuova società”. All’organizzazione viene chiamata la signora Veronesi, che si conferma affidabile e precisa, visto che attualmente continua a ricoprire lo stesso incarico. L’unico incidente di percorso càpita nel 2010, quando il parlamentare bolognese Enzo Raisi solleva il caso: come mai nonostante l’incarico di «raccordo con le istituzioni centrali e con il Parlamento» nel gabinetto del Governatore emiliano, la signora Veronesi è sempre a Roma, ufficialmente alla sede di rappresentanza della Regione presso la Capitale? Così la Zoia si dimette. Subito la assumono al Pd. Pensano di aver sistemato tutto. E comunque di averla protetta. Perché è una specie in estinzione. Come lei, ormai, non ce ne sono mica più. Nemmeno a Bologna.