La strage di Parigi

Giampaolo Pansa, dopo la strage di Parigi la loro ferocia, la nostro viltà

Giovanni Ruggiero

Confesso che la strage di Parigi non mi ha affatto sorpreso. Sono uno dei tanti che guardano con realismo al conflitto tra l' Occidente e quello che chiamiamo lo Stato islamico. Una entità statuale con molti protagonisti, a cominciare dall' Isis, il Califfato nero. Non abbiamo di fronte soltanto un terrorismo di tipo nuovo, connotato da una ferocia che in altre epoche non si è rivelata in tutta la sua geometrica potenza. Siamo alle prese con una guerra che non abbiamo mai dichiarato, ma che i combattenti abituati ad andare all' assalto urlando «Allah è grande!», stanno da tempo conducendo contro di noi. Esiste una verità che è da suicidi fingere di non vedere. Gli islamici sono in vantaggio perché possiedono un' arma che noi non abbiamo: la ferocia, anche contro se stessi, come confermano i tanti kamikaze. Noi siamo sconfitti, almeno per ora. Poiché il nostro connotato è la viltà, con tutto quello che segue: le divisioni, le incertezze, le beghe fra stati, l' egoismo, la pavidità. L' arma numero uno del nuovo terrorismo è il fattore umano. E la sua determinazione di distruggerci, anche a prezzo di rimetterci la vita. L' ho compreso sino in fondo leggendo sulla Stampa del 12 novembre un lungo colloquio fra un jihadista quasi professionale e un giornalista che stimo molto. È Domenico Quirico, 64 anni, astigiano, un reporter, ma forse è meglio definirlo un inviato speciale di grande coraggio e forte esperienza. Tanti giovani colleghi forse lo riterranno un vecchio signore, senza rendersi conto che è un loro maestro. Abituato a inoltrarsi in territori che i media odierni osservano soltanto da lontano. Quirico l' ha fatto di continuo. È già stato sequestrato due volte: nel 2011 mentre tentava di arrivare a Tripoli e nel 2013 in Siria. In entrambi i casi, l' ha scampata, la seconda volta dopo una brutta detenzione durata cinque mesi. Perché quel suo articolo mi ha colpito? Perché ci mette di fronte a un problema dal quale possono dipendere le nostre vite. Lui scrive: «Ci sono professionisti della guerra santa che con la violenza stanno scardinando il mondo e che noi non conosciamo. Riempiono i giornali, le televisioni e la Rete, e non li conosciamo. Ci prepariamo a combatterli, forse, e non li conosciamo». Il jihadista che Quirico ha interrogato è un tunisino quarantenne, Abu Rahman che si è arruolato con Al Quaeda, prima in Iraq e adesso in Siria. Ha famiglia, un mestiere, il commerciante, ma il suo scopo esistenziale è combattere gli infedeli: «Uccido in nome di Dio, per dovere e non per scelta. Così aiuto i fratelli musulmani». Abu chiede a Quirico: «Vuoi sapere che cosa provo a uccidere? E se ricordo chi è il primo che ho ammazzato? È stato in Iraq, al tempo degli americani. Ho detto: grazie, Dio. Ti ringrazio perché hai guidato la mia mano». «Dopo quattro mesi trascorsi in Siria, sono passato con Al Nusra, gli uomini di Al Quaeda. Quelli sono i veri combattenti. I loro emiri sono grandi uomini. Guerrieri puri, i migliori, i più dotti nell' islam. La Siria è piena di gruppi di banditi, gente che dice di essere musulmana, ma in realtà cerca denaro e traffici. Non ci sono pensieri impuri in quelli di Al Nusra. Hanno molta forza, altrimenti non saprebbero reggere alle difficoltà della guerra santa». «La jihad è dura! Non c' era nulla da mangiare, spesso per giorni. Eravamo assediati, abbiamo mangiato l' erba come le bestie e i frutti verdi degli alberi. Uno di noi era un contadino e ha impiantato un piccolo orto. Per bere raccoglievamo l' acqua piovana. Faceva freddo su quelle montagne, le montagne dei curdi dannati, c' era un freddo da morire e noi non avevamo vesti pesanti. In tutto il villaggio esisteva un solo televisore. E quando non cadevano le bombe, noi si andava a vedere Al Jazeera». «Tu mi chiedi della jihad. Per me è un dovere. Non c' è scelta. La terra musulmana è in mano ai senza Dio, agli sciiti infami. Dobbiamo riprendercela. Per questo la guerra santa viene prima dei figli, del mangiare, della casa, del paese. Devi combattere gli sciiti con la parola, i soldi, le armi, le leggi. Morire, vivere… Parole! Ci sono mujaheddin che combattono da trent' anni e sono ancora vivi, altri che sono morti dopo un' ora. A decidere è Dio. Quello che voi occidentali non potete capire. Avete perso la voglia di combattere per la fede. La religione per voi funziona come per me il commercio». «Voi occidentali siete più forti per il denaro, i mezzi, le armi che possedete. Ma proprio per questo avete paura di morire. E volete vivere a tutti i costi. Noi no. Vedi la saggezza di Dio? Attraverso la debolezza, lui ci rende più forti di voi». «Sai perché sono venuto via dalla Siria e non sono rimasto lì a morire, come è successo al mio amico Adel Ben Mabrouk, una delle guardie del corpo di Bin Laden, sopravissuto a otto anni di carcere duro a Guatanamo? Perché è arrivato Isis, il Califfato nero. I loro capi non sono veri musulmani come siamo noi. Sono ex funzionari dei servizi segreti di Saddam Hussein o ex ufficiali dell' esercito iracheno. Non vogliono concorrenti. Ma se decidi di lasciarli, ti uccidono. I loro emiri non sanno nulla del Corano, sono ignoranti. Anche i combattenti dell' Isis sono giovani ignoranti, affascinati dalla loro propaganda». «Ecco perché sono venuto via dalla Siria. Non posso stare in un posto, e morire, dove i sunniti, la gente di Dio, combattono non contro gli sciiti e gli americani, ma tra di loro. Non so se tornerò, forse andrò da un' altra parte. Voglio combattere per far nascere un governo islamico in Siria. E dopo andremo a liberare la Palestina dai giudei. I russi ci bombardano? Che importa. Noi combattiamo per una fede, loro no. Per questo perderanno». Così parlava a Quirico Abu Rahman, guerrigliero o terrorista islamico. E noi occidentali, noi italiani siamo disposti a batterci? E per che cosa? Se penso all' Italia del 2015 mi sento tremare. Vedo nel mio paese un governo che non sa domare neppure i califfi di casa nostra. Guidato da un ceto politico che vuole soltanto accrescere il potere del proprio cerchio magico. Vedo il dilagare del menefreghismo, della corruzione, dell' evasione fiscale, dell' assenteismo. Vedo maestroni incapaci di trasmettere ai giovani un po' di moralità, di abnegazione, di rinunce. Vedo un territorio sfasciato, scuole che vanno in pezzi, città senza acqua potabile. Vedo finti statisti e aspiranti dittatori. Vedo montagne di promesse a vuoto. Vedo molta boria, e ras arroganti che spingono sulla scena battaglioni di cortigiani. Vedo penalizzare la competenza e mettere da parte l' esperienza onesta. Gli altri, quelli di Allah è grande, sono feroci. Hanno scatenato la guerra a Parigi. E prima o poi tenteranno di portare il terrore anche in Italia. Del resto, il Califfato nero l' ha già annunciato. Il loro obiettivo è di arrivare a Roma. Il Vaticano è un piatto prelibato che vogliono mangiarsi. Il vicino Giubileo della misericordia è una grande torta che attirerà nugoli di uccelli feroci. Il Vaticano di papa Bergoglio si affanna a inseguire chi ha ispirato due libri che ritiene degni di essere messi all' indice. Ma ben altro è il pericolo che minaccia San Pietro. Il vero rischio è di cadere nell' orrore scatenato a Parigi la sera di un tranquillo venerdì di novembre. Giampaolo Pansa